È uno degli effetti della pandemia Covid-19: la nuova attenzione alla vita salubre porta a sognare di vivere in un luogo “diverso”, in montagna o campagna. Ma rivitalizzare i borghi alpini e appenninici come unità territoriali di socializzazione e di vita, dopo anni di progressivo spopolamento, è un sogno passeggero di chi troppo è rimasto confinato fra quattro mura di un piccolo alloggio in città o una possibilità concreta che si apre per il futuro? La spinta alla biofilia ci porterà a vivere sempre di più in spazi aperti? Se ne parla oggi, dalle 17,40, in un webinar promosso dall’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (Uncem) e da Home, Health & Hi-Tech sulla piattaforma global.gotomeeting e sulle pagine Fb delle due associazioni. “E’ necessario mettere in atto una pianificazione che prenda in esame, innanzitutto, le necessità per la rifunzionalizzazione dei territori: dalle connessioni infrastrutturali dei territori rurali e montani fino alla riorganizzazione dei servizi e al ridisegno delle identità, a partire da quelle fisiche – si legge in una nota Uncem -. Cioè il patrimonio costruito. Gli edifici residenziali e non, pensati spesso come strutture stagionali, nella maggior parte dei casi non sono efficienti o non sono pensati per ospitare una vita su 365 giorni l’anno. Lo stesso vale per i luoghi e gli spazi pubblici. Garantire una nuova vita ai territori significa anche coordinare bene i progetti, le risorse che arrivano dall’Europa e ragionare su nuovi concetti di sostenibilità (paesaggistica, economica e sociale) e di salubrità, anche rispetto alla messa in sicurezza e alla dotazione di servizi essenziali, come la scuola e la sanità. A vincere la sfida saranno, infatti, quelle comunità che avranno saputo meglio comunicare i propri valori e i vantaggi di una vita immersa nella natura, ma integrata al sistema della aree metropolitane”.