di Maria Caterina Bruno
L’emergenza sanitaria ha costretto gli studenti universitari a rivedere il profilo del proprio apprendimento, adattandosi a forme di insegnamento online e a scenari di sviluppo professionale modificati. Per i giovani meridionali, le nuove condizioni potrebbero invertire il trend sviluppato in decenni di migrazione verso gli atenei del Nord, soprattutto grazie all’incentivo apportato da politiche di innovazione e sviluppo condotte dai centri universitari del Mezzogiorno. È ipotesi ormai certa, che anche a partire da settembre il semestre accademico si svolgerà attraverso lezioni condotte a regime “misto”, che prevede la combinazione di attività didattiche in presenza e da remoto. L’Osservatorio Talents Venture (società di consulenza specializzata nell’istruzione universitaria) ha indagato sulle future tendenze nell’epoca post pandemia, evidenziando che i giovani – a causa sia di disposizioni limitative, che di motivazioni personali anche di carattere economico – saranno sempre meno disposti a trasferirsi al di fuori della Regione di provenienza. In particolare, secondo l’Anagrafe Nazionale Studenti (Ans) elaborata dal Miur, nell’ anno accademico 2018/2019 il 39 per cento degli studenti calabresi ed il 36 per cento di quelli pugliesi viene annoverato tra i fuorisede. La percentuale aumenta se consideriamo la Basilicata (76 per cento), mentre si riduce drasticamente in Campania, dove gli studenti che scelgono di abbandonare il territorio rappresentano il 6 per cento. Gli atenei meridionali hanno però ben intuito l’inversione di rotta di cui saranno protagonisti, attivandosi al fine di rendere la propria offerta formativa ancor più accattivante. A sperimentarne i primi benefici è stata l’Università di Palermo, considerata sempre secondo l’Ans primo polo del Centro-Sud Italia, e quarto sul piano nazionale, per incremento del numero di matricole nell’anno accademico 2019-2020. Oltre al potenziamento degli apparati digitali per lo svolgimento di lezioni e laboratori, i campus del meridione sono stati pionieri di modalità innovative per l’insegnamento a distanza. Tra queste i Mooc (Massive open online course), strumenti di apprendimento gratuito (“open”) che consentono di ottenere qualifiche di spessore, partecipando – comodamente da casa – a corsi organizzati con diversi approcci multimediali. Questa modalità è sviluppata da anni in atenei americani come Harvard o Berkley, ed è considerata estremamente efficace per qualsiasi percorso professionalizzante. In Italia, occasioni simili sono ancora poco diffuse, ma è proprio l’Università di Foggia a classificarsi al secondo posto a livello nazionale – secondo i dati del Sole 24 ore – per l’aspetto qualitativo del servizio di e-learning. Anche la Federico II di Napoli ha una piattaforma dedicata ai corsi on-line su larga scala già dal 2007, ora in fase di ulteriore sviluppo in quanto rappresenta una soluzione efficace per sopperire all’emergenza. Ciò ha consentito di intercettare nuovi destinatari per i contenuti formativi proposti, che vadano al di là dei singoli studenti o di una comunità circoscritta, inglobando anche lavoratori già qualificati che siano alla ricerca di un’opportunità di perfezionamento reiterata. Nonostante l’intero assetto accademico si sia modificato, e molte possibilità come gli scambi internazionali siano venute meno, il settore universitario si conferma tra i migliori nella gestione della crisi, ed è riuscito a rinnovarsi sfidando anche i disequilibri territoriali. La formazione a distanza (Fad) è una prospettiva necessaria e d’avanguardia per il futuro, che nulla priva all’istruzione in presenza, ma si distingue quale indispensabile elemento di supporto. In vista di ulteriori sviluppi, gli atenei meridionali si stanno attrezzano per essere competitivi a livello internazionale, dando prova di rappresentare un’ottima risorsa per i giovani, che finalmente avranno maggiori incentivi a radicare nella propria terra le basi del loro futuro.