Una fase 2 durissima per le imprese, con la liquidita’ che fatica ad arrivare nonostante le garanzie al 100%, con le riaperture che non riportano i clienti. E l’allarme – lanciato oggi dalla ministra del’Interno Luciana Lamorgese – che a sfruttare l’opportunita’ siano le mafie. E’ il quadro che si presenta di fronte al governo, che trovate le risorse dopo il ‘congelamento’ delle regole di bilancio Ue ora fa i conti con la burocrazia della macchina pubblica, con i meccanismi del sistema bancario e con un’economia che stenta a ripartire. “Le mafie – avverte Lamorgese – “sfruttano ogni occasione utile, ora anche l’emergenza sanitaria”, un terreno ideale “per conquistare spazi di mercato ma anche per acquisire consenso sociale”. Con i meccanismi dell’usura, dell’acquisto delle attivita’ in crisi, e “l’intercettazione dell’enorme flusso di denaro pubblico”. Una consapevolezza che esprime anche il premier Giuseppe Conte: “le mafie si nutrono delle difficolta’ dei cittadini. Di fronte alla pandemia che sta danneggiando il tessuto occupazionale, il sistema produttivo, la risposta dello Stato deve essere forte, rapida e incisiva” C’e’ anche la criminalita’ organizzata ad aumentare la pressione sul governo per far arrivare liquidita’ al sistema produttivo. I dati di Mediocredito centrale indicano in 357.690, 16 miliardi in valore, le richieste pervenute al Fondo di garanzia al 22 maggio: di cui ben 322.997, per oltre 6,7 miliardi, riferite ai finanziamenti alle pmi e microimprese fino a 25.000 euro con garanzia al 100% concessa automaticamente e dove i finanziamenti, sulla carta, vanno concessi senza attendere istruttoria. In un solo giorno, il 22 maggio, l’Abi registra 28.000 domande, per un miliardo di euro, al Fondo di garanzia. Numeri “importanti e crescenti” che vanno sommati – dice l’Associazione bancaria ringraziando il personale delle banche per l’impegno nell’emergenza – a quelli assai maggiori delle moratorie sui prestiti a famiglie e imprese. Eppure il malcontento resta alto: ancora manifestazioni, oggi a Milano contro le “misure assolutamente insufficienti e tardive del governo”. Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, nei giorni scorsi, ha riconosciuto di non essere soddisfatto dell’andamento dei prestiti anche se “abbiamo fatto il massimo”. I dati di Cna dicono che oltre il 70% delle imprese ha fatto ricorso ad almeno uno degli strumenti del governo: ma l’indagine su un campione di 7.000 imprese (specie ‘micro’ fino a 4 dipendenti), pur promuovendo la moratoria (“semplice” per il 90%) rivela “piu’ ombre che luci” sui finanziamenti a garanzia pubblica fino a 25.000 euro, in teoria velocissimi e invece lenti specie per le imprese piu’ piccole: con domande accolte ancora solo al 30% e il 65% ancora in lavorazione da parte delle banche, e i titolari spesso costretti a recarsi in filiale in pieno lockdown. Per i prestiti superiori, solo il 14% ha completato la procedura e circa l’80% delle imprese e’ ancora in attesa. Dati che contrastano con la lettura che ne da’ il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, che parla dell’80% di richieste accolte, un 19% in corso d’esame e solo l’1% rigettate. Il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, parla di “uno scaricabarile indegno fra la politica e la finanza” in mezzo al quale finiscono “stritolati” i bancari, oggetto di un centinaio di episodi di violenza. Individuando una serie di problemi: l”assenza di sanzioni alle banche che rallentano le procedure, che il governo sarebbe in grado di individuare singolarmente. La penalizzazione nelle politiche bancarie del Mezzogiorno, dove “si sta allargando il rischio usura per le imprese”. Uno studio della Fabi, incrociando le richieste con i dati territoriali, rivela un preoccupante dato strutturale: chela garanzia sui prestiti arrivera’ a fine anno alla meta’ dei 5 milioni di platea potenziale di imprese. Vanno sottratti circa 5-600.000 inattivi, un altro mezzo milione di partite Iva in dissesto prima della pandemia, e un altro mezzo milione di microimprese che otterrebbe prestiti cosi’ bassi (per il tetto al 25% dei ricavi) da far risultare sconveniente l’intera procedura. Restano 3,5 milioni di soggetti, cui va tolto un milione di imprese che “potrebbe non avere le carte in regola” o ha gia’ liquidita’ sufficiente. E poi c’e’ il nodo della responsabilita’ per i bancari: gli emendamenti al Dl liquidita’ che prevedono l’autocertificazione per i dati aziendali sono “un probabile passo avanti”, dice Sileoni, ma non c’e’ un vero e proprio ‘scudo penale.