Sindacati sul piede di guerra contro il nuovo piano industriale di ArcelorMittal per l’ex Ilva. “E’ inaccettabile”, tuonano le tute blu di Cgil, Cisl e Uil, che non ci stanno alla nuova richiesta di esuberi e a veder calpestato l’accordo del 2018. Per questo annunciano uno sciopero di 24 ore in tutti gli stabilimenti del gruppo per martedi’ 9 giugno, proprio in concomitanza con l’incontro per fare il punto sulla vertenza in corso tra le segreterie nazionali e il ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli. Ministro che gia’ da giorni fa sentire la propria irritazione nei confronti dell’azienda. “Le segreterie nazionali di Fim Fiom Uilm, insieme alle strutture territoriali ed alle Rsu del gruppo Arcelor ex Ilva ritengono inaccettabile il piano industriale presentato da Arcelor Mittal al Governo il 5 giugno 2020, non ancora ufficializzato alle organizzazioni sindacali, contenente esuberi all’interno dei vari siti”, affermano i sindacati, rivendicando “con forza la piena occupazione, gli investimenti e il risanamento ambientale oggetto dell’accordo sindacale del 6 settembre 2018”. Ad aggravare la situazione, evidenziano i rappresentanti dei lavoratori, il fatto che “le decisioni dell’azienda si basino su un accordo tra la stessa Arcelor Mittal e il Governo siglato nello scorso mese di marzo ma a tutt’oggi a noi sconosciuto”. La rabbia dei sindacati metalmeccanici era iniziata a montare gia’ venerdi’ sera quando sono iniziati a trapelare i contenuti del nuovo piano industriale presentato da ArcelorMittal ai ministeri dell’Economia, dello Sviluppo economico e del Lavoro. Piano che prevede 3.300 esuberi gia’ nel 2020 e nulla dice dei 1.700 lavoratori ancora in carico alla gestione commissariale e che Arcelor doveva ricollocare dopo il 2023. In tutto, quindi, almeno 5.000 esuberi. Cui si aggiungono il rinvio del rifacimento dell’Afo5 e e una produzione che si assesterebbe intorno ai 6 milioni di tonnellate annue. L’accordo del 6 settembre 2018 prevedeva zero esuberi e 8 mln di tonnellate nel 2023: mentre ora, sintetizzano, ci sono esuberi, cassa integrazione e ritardi negli investimenti e i 10.700 al lavoro nel 2025 sono solo teorici e senza nessuna consistenza. Cresce intanto il pressing dei sindacati (e’ una vicenda “scandalosa”, dice la leader della Cisl Anna Maria Furlan che chiede di fare chiarezza con l’azienda ma anche col Governo sul futuro del settore) e della politica (“e’ una bomba ormai innescata e pronta a esplodere”, avverte Mariastella Gelmini di Forza Italia), e mentre da Bruxelles il vicepresidente della Commissione Ue Timmermans suggerisce all’Italia di usare i fondi europei per l’ex Ilva, si fa strada l’ipotesi dell’entrata in campo dello Stato. “Una soluzione privata sarebbe da preferire perche’ mossa da logiche di mercato ma, se l’alternativa fosse lo spegnimento di impianti che avrebbero dei danni irreversibili, allora tutte le opzioni devono essere valutate”, apre il presidente del Federmeccanica Alberto Dal Poz che, intervistato dal Giornale Radio Rai, sottolinea la “centralita’ della produzione di acciaio in Italia quale pilastro per filiere importantissime per il nostro Paese”.