Dopo un calo storico del Pil come quello certificato oggi dalle stime preliminari dell’Istat, non ci sarà una ripresa a V per l’economia italiana, che per tornare ai livelli di fine 2019 dovrà attendere, se tutto andrà per il verso giusto, almeno un anno e mezzo. La morsa della pandemia da Covid-19 si è fatta sentire sulle attività del Paese, cosi’ come su quelle del resto d’Europa e degli Usa, e quello che sembra essere condiviso dagli economisti è che la ripresa non sarà a V.
Il calo del 12,4% del prodotto interno lordo, come evidenzia il professor Giuseppe Berta, “conferma le aspettative”, ma testimonia anche “la gravità del colpo subito dall’economia”, sia pur ‘attutitò dalle misure prese dal governo. “Le stime diffuse oggi dall’Istat sul Pil del secondo trimestre, pur negative a causa dell’inevitabile impatto della pandemia sui diversi settori produttivi, indicano una flessione meno grave di quanto atteso dalla maggior parte delle previsioni”, ha commentato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, secondo cui si tratta di “un dato che testimonia la solidità degli interventi messi in campo dal Governo”. Il colpo, considerata la natura globale della crisi, non riguarda solo il nostro Paese.
“La caduta dei grandi Paesi europei, Italia, Francia, Germania, è statisticamente simile e lo è anche quella degli Usa, se si considera con il loro dato è annualizzato – premette Giorgio Arfaras, direttore della Lettera economia del Centro Einaudi – Detto questo, il nostro Paese ha delle vulnerabilità maggiori, date dalla presenza di una quantità sterminata di microimprese, che sono particolarmente fragili, e del debito pubblico”. “Sembra ormai evidente – riprende Berta – che non ci sarà nessuna ripresa a V, anche se le attese per i prossimi tre mesi sono migliori. Anche il contesto internazionale è drammatico: dobbiamo aspettarci un prolungato ripiegamento delle nostre attività”. Anche per Arfaras è piu’ probabile “che la ripresa sia a U, sperando che non ci sia una nuova caduta”.
Il dato era “previsto e prevedibile” ed è anche “migliore di quello di altri Paesi europei, ma questo ci deve consolare fino a un certo punto”, aggiunge Fabrizio Pagani, Global Head of Economics and Capital Market Strategy in Muzinich&Co. “Arriviamo all’autunno con un’economia sospesa”, sottolinea, ricordando i provvedimenti del governo, come quelli relativi alla Cassa integrazione e al divieto di licenziamento che “non ci danno un vero quadro dello stato dell’occupazione”, cosi’ come “la moratoria sui crediti non ci offre spunti sulla salute delle nostre imprese”. “I nodi verranno al pettine nell’autunno”, continua Pagani, rimarcando l’importanza di vedere l’andamento dei prossimi mesi.
“E’ chiaro che non ci sarà una ripresa a V. Certo, non riusciremo a recuperare i valori di Pil del dicembre scorso entro fine anno ma, se tutto va bene, ci torneremo forse alla fine del 2021″, spiega invece Carlo Cottarelli. Il direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici dell’Università Cattolica e il suo gruppo di lavoro hanno fatto delle stime sull’andamento interno al periodo: “abbiamo il punto più basso ad aprile, in cui il Pil è stato del 23%, quasi un quarto, inferiore al dicembre precedente. A maggio e giugno, però, c’è già stato un recupero, con un tasso di crescita del 7% rispetto al mese precedente”. Si può “ipotizzare che il rimbalzo continui, per quanto non con la stessa intensità: in questo modo arriveremo a dicembre con un calo del pil dell’ordine del -9,5%”. Un’opinione condivisa solo parzialmente dal Centro studi di Confindustria.
“Nel terzo trimestre ci sono comunque le condizioni per un significativo rimbalzo della produzione industriale (e del PIL), spiegato soprattutto da un effetto base (ovvero dal confronto con livelli molto bassi raggiunti nel secondo trimestre)”. Nonostante questo recupero, tuttavia, “nel complesso del 2020 la produzione industriale è in rotta verso una diminuzione di circa il 15% sul 2019”. Per rilanciare l’economia nei prossimi mesi servono, secondo gli economisti, diverse cose, fra cui un cambio di modello che riparta dai consumi e la capacità di giocare in attacco, con investimenti che abbiano moltiplicatori positivi.
Del primo punto è convinto Berta: per il docente della Bocconi la ricetta per una ripartenza, per l’Italia e per il resto dell’Europa, deve basarsi su linee guida diverse da quelle del passato. “Se vogliamo uscire da un’empasse che rischia di essere piu’ prolungata di quello che ci saremmo augurati serve un rilancio della domanda interna. Non ci deve piu’ essere un’attenzione parossisticamente incentrata sull’export”, sottolinea. “Io penso che il dato del Pil vada letto in maniera disaggregata. C’è un calo importante dei consumi, che è naturale, ma fa intravedere il rischio che non ci sia quella ripresa dei consumi che ci attendevamo e che è necessaria”, continua Pagani.
“Serve domandarsi quali misure il governo vorrà prendere per il sostegno sui consumi, e su questo punto non vedo un dibattito. La domanda da porsi è se non serva alleggerire pressione fiscale sulle fasce piu’ deboli che hanno una maggior propensione ai consumi se aumenta il reddito“. Per Arfaras, invece, dopo una prima fase in difesa serve “giocare in attacco”: a seguito di un primo rimbalzo dell’economia legato alle riaperture, e di un successivo rimbalzo legato alla sostituzione dei beni durevoli, “è assai probabile” che ci sia una ripresa, “ma da qui a dire che in un arco temporale breve torneremo dove eravamo…”, sottolinea, spiegando che questo genere di ripresa non riporterà il Pil ai livelli precedenti. Per questo “serve giocare in attacco. Se lei dà il bonus bicicletta alla nonna, l’economia non fa un salto in avanti, ma lo fa se investo in settori che hanno un moltiplicatore positivo. Servono investimenti in questo senso. Se si seguirà questa strada alla fine ce la faremo”.