“Mi prendono per un guerrafondaio perche’ mi piace dire le cose come le penso, il che e’ una rarita’ in un Paese che ormai pare anestetizzato. Ma io sono, al contrario, un dialogante, sempre che qualcuno sia interessato a parlare con gli industriali italiani. Perche’ il ritornello nei palazzi della politica e’ che senza l’impresa l’Italia non puo’ ripartire, poi pero’ quando Confindustria chiede di aprire un tavolo sulla situazione economica, sembra che nessuno sia interessato a confrontarsi seriamente. Al mio appello al momento hanno risposto solo la Cisl e la Uil, speriamo sia l’inizio di un dialogo”. L’autunno caldo dell’economia e’ iniziato gia’ subito dopo Ferragosto, quando Carlo Bonomi e’ tornato a bussare alle porte di Conte e compagnia. “Ci sollecitano proposte che in realta’ non sono mai mancate – spiega il neo presidente di Confindustria a ‘Libero Quotidiano’ -, le ultime per la ripartenza le abbiamo portate agli Stati generali e in piu’ a meta’ luglio abbiamo consegnato al governo proposte dettagliate su ammortizzatori sociali e politiche del lavoro. Siamo ancora in attesa delle risposte”. Solo un anno fa Vincenzo Boccia, il predecessore di Bonomi, aveva definito il ministro Luigi Di Maio “uno di noi”. Molta acqua e’ passata sotto i ponti. Per lustri Viale dell’Astronomia e’ stata filogovernativa, passando dalle relazioni di Berlusconi con Montezemolo, D’Amato e Marcegaglia fino all’infatuazione collettiva degli industriali per Renzi. Oggi Confindustria parrebbe candidarsi a ruolo di leader dell’opposizione al governo. Ma il presidente si affretta a chiarire: “L’ho sempre ripetuto, noi non siamo un organo politico, le nostre osservazioni sono solo economiche; in quanto industriali, pensiamo di avere il diritto di dire la nostra sui piani di sviluppo del Paese e, senza presunzione, siamo convinti che il coinvolgimento delle imprese sia ineludibile”. Quel che non e’ chiaro e’ se a Palazzo Chigi la pensano allo stesso modo. “Comincio a dubitarne – rivela il leader degli industriali -. Temo che questo governo pensi di gestire la crisi statalizzando tutto. D’altronde, dei famosi cento miliardi stanziati da Conte, al sistema delle imprese per il momento e’ stato destinato molto poco, e comunque solo per sostegni di emergenza, nessuna scelta per il futuro. C’e’ un forte sentimento anti-industriale in una parte del governo e la pandemia ha agevolato la componente statalista dell’esecutivo”.
Sul fatto che forse il Movimento cinque stelle abbia esercitato una cattiva influenza sul Partito democratico, risvegliandone gli istinti anti-capitalistici, Bonomi prosegue: “Non credo sia una questione partitica. La verita’ e’ che nel governo ci sono anime avverse alle imprese a prescindere dai partiti d’appartenenza. Per fortuna pero’ c’e’ anche chi e’ convinto che nazionalizzare tutto non sia la strada corretta, come dimostra il caso Alitalia, statalizzata a caro prezzo e ancora senza un piano industriale”. Sui 209 miliardi del Recovery fund, il presidente di Confindustria si augura che “la componente illuminata del governo prevalga su quella ancorata a un’idea novecentesca della societa’. Abbiamo di fronte un’occasione storica: i 209 miliardi sono funzionali al cambiamento necessario al Paese pero’, se procediamo di questo passo, non abbiamo certezza di se e quando arriveranno”. All’obiezione che che con queste dichiarazioni finisce per somigliare al leader della lega Matteo Salvini, Bonomi replica: “No, sono realista. Ricordo che per accedere a quei soldi dobbiamo ottenere il voto favorevole dei Parlamenti di tutti i 27 Paesi Ue. Non vorrei finisse come con la Costituzione europea, votata da Strasburgo e poi bocciata da Francia e Olanda, e quindi rimasta lettera morta. Non dobbiamo dimenticare che l’Europa ha ribattezzato l’intesa ‘Next generation’. Significa che i soldi sono subordinati a programmi strutturali e scelte strategiche di riforma e sviluppo. Sono per gli investimenti e per garantire un futuro sostenibile ai giovani. Se il governo continua a usare i soldi per una politica economica esclusivamente assistenzialista tradisce i principi fondanti del Recovery e giustifica l’eventuale voto negativo degli altri Stati”. Quanto all’osservazione che le decisioni dell’Unione europea sono politiche, non entrano mai troppo nel merito, il leader degli imprenditori evidenzia: “E’ un errore pensarla cosi’. Si sta diffondendo l’idea che l’Europa ci sostenga economicamente perche’ siamo bravi, ma e’ tutto l’opposto. Riceviamo piu’ fondi degli altri Stati perche’ siamo l’economia piu’ in crisi. Lo eravamo gia’ prima del Covid, ma l’epidemia ha creato una situazione da economia di guerra e per incanto sono saltati tutti i vincoli e la Banca centrale europea ha iniziato a sostenere il nostro debito incondizionatamente, ma e’ una fiducia a tempo. Se non facciamo i compiti a casa – riprende Bonomi – e Bruxelles ci ha indicato chiare priorita’ su cui lavorare, il sostegno economico e finanziario verra’ meno. Se proseguiremo con la politica dei sussidi improduttivi, ci giocheremo definitivamente il rapporto di fiducia con l’Europa”. Il punto e’ “se il governo pensa di andare avanti in eterno tenendo otto milioni di italiani sotto l’ombrello dei sussidi pubblici. Non credo sia possibile. Tra le nostre proposte, non a caso, figura la riforma degli ammortizzatori sociali, a dimostrazione che Confindustria sta lavorando per il bene del Paese. Gia’, la ministra del Lavoro Catalfo – continua sempre Bonomi -, pensa di farla senza le imprese, che pure pagano tutta la Cassa integrazione ordinaria e parte di quella straordinaria. Vede, e’ tutto il metodo che non funziona. Se dici di voler ascoltare le imprese, poi devi coinvolgerle”.
Al presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, che accusa le aziende di aver approfittato della Cassa integrazione legata alla pandemia per risparmiare, Bonomi replica: “Ricordiamoci dove eravamo quando e’ iniziato il lockdown, nessuno sapeva quanto sarebbe durato e come avremmo riaperto. Nel clima di incertezza, le imprese si sono dovute tutelare. Se Tridico ritiene che abbiano violato la legge, le denunci. Ma sono ancora in attesa che l’Inps fornisca i numeri suddivisi per settore delle 234 mila imprese che avrebbero fatto ricorso alla cassa da furbette e ci dica quante di questo lo hanno fatto impropriamente. La verita’ e’ che il fatturato a venire era sconosciuto a tutti; infatti nell’emergenza non figurava tra i criteri per richiedere la cassa”. Sui dati dell’economia in ripresa, che sono solidi, il presidente di Confindustria precisa: “I dati positivi sono congiunturali perche’ se guardiamo al tendenziale siamo ancora a -10 per cento. Sono dovuti per lo piu’ alla ripresa della manifattura ma oggi nessun imprenditore ha una visione superiore ai tre-quattro mesi di ordinativi, considerato anche il ripristino delle scorte. Per sostenere la ripresa e’ necessario ben altro: porre fine al clima di incertezza che avvolge il Paese. Secondo Bonomi, “qualcosa di piu’ si puo’, anzi si deve, fare. Per esempio interrompere queste decretazioni omnibus mensili che poi, votate in Parlamento, restano inattuate. Mancano 169 decreti attuativi di provvedimenti del primo governo Conte, a cui si aggiungono altri 124 della legge dello scorso dicembre e 236 relativi ai provvedimenti emessi durante i mesi del lockdown. Senza contare quelli del decreto Agosto. Camera e Senato votano ma poi le misure attuative mancano. Intanto la politica si attiva solo per tagliare i parlamentari: non oso immaginare come sara’ dopo”. Sullo smart working, Bonomi puntualizza: “Il lavoro da remoto ci e’ servito per non chiudere il Paese durante il lockdown, ma e’ evidente che non si puo’ andare avanti cosi’. Qualcosa rimarra’, ci saranno meno riunioni, meno viaggi di lavoro, ma non si puo’ ristabilire un clima di chiarezza e positivita’ nel Paese lasciando la gente a casa nell’incertezza. Peraltro, la formazione del personale, la crescita professionale e la trasmissione generazionale dei saperi vengono inevitabilmente meno con il lavoro da remoto”.
Sulla necessita’, poi, di rivoluzionare tutto il mondo del lavoro, il presidente di Confindustria rileva: “Non si puo’ piu’ legare la retribuzione prioritariamente alla prestazione oraria; tanto meno si puo’ pensare di mantenere la stessa retribuzione con meno ore di lavoro o meno presenza tutti i Paesi che hanno tentato questa strada sono tornati indietro leccandosi le ferite. Penso alla Francia di Mitterand. Le economie che funzionano legano la retribuzione alla produttivita’. Dobbiamo sederci a un tavolo con governo e sindacati e cambiare insieme la concezione del mondo del lavoro. Serve un grande patto per l’Italia”. E sui rischi di ripristinare il lavoro a cottimo, Bonomi conclude: “Dice cosi’ chi e’ fermo a una concezione fordista del lavoro. Il lavoro va commisurato ai risultati, in fondo e’ questa anche la filosofia che sta alla base dello smart-working. I vecchi contratti non stanno piu’ in piedi, pensi alla necessita’ di potenziare previdenza e assistenza integrativa, formazione permanente e assegno di ricollocazione”.