Mentre e’ in corso lo stato di agitazione proclamato dalle segreterie nazionali di Fim, Fiom e Uilm in tutti i siti ArcelorMittal d’Italia, sui lavoratori dello stabilimento siderurgico di Taranto arriva come una doccia fredda la notizia dell’ampliamento della platea di lavoratori in cassa integrazione: da lunedi’ prossimo – riferiscono fonti sindacali – l’azienda intende ridurre progressivamente le presenze in fabbrica a circa tremila unita’, in linea con una produzione di tre milioni di tonnellate di acciaio l’anno. In questa maniera, spiegano, aumentera’ di conseguenza di un migliaio il numero di addetti in cassa integrazione Covid. A quanto si apprende, alcuni dipendenti hanno gia’ ricevuto la lettera di messa in Cig: per alcuni di loro e’ indicata la data del rientro al lavoro, per altri no. Attualmente gli ammortizzatori sociali coinvolgono circa quattromila addetti su una forza lavoro di 8147 (esclusi i dirigenti). Per l’Usb Taranto, “la fabbrica si avvia verso un inevitabile collasso”, perche’ “si parla di un organico che rimarrebbe nel circuito aziendale in regime ordinario non superiore alle 3000 unita’, con una produzione annuale che non supera i 3 milioni di tonnellate di acciaio all’anno”. ArcelorMittal, prosegue il sindacato, “vorrebbe estendere la cassa integrazione ad altri 1000 lavoratori che si andrebbero ad aggiungere alla platea gia’ piuttosto ampia dei circa 4000: dunque – sottolinea – 5000 in tutto le unita’ lavorative interessate che, nella nuova compagine societaria, dovrebbero essere prese in carico da Invitalia, di cui 3000 in cassa integrazione a zero ore e 2000 destinati presumibilmente a rientrare in un processo di terzializzazione”. “Nel passaggio dalla multinazionale alle ditte esterne – teme il sindacato – e’ prevedibile si possano perdere garanzie. Lo schema, osserva l’Unione sindacale di base, “sarebbe questo: una parte di lavoratori in As, una in ArcelorMittal, una in Invitalia con quest’ultima a sua volta divisa tra coloro che sono in cassa integrazione e altri che potrebbero passare a ditte esterne. Se si dovesse realizzare quanto detto, lo stabilimento verrebbe gestito per il 90% con risorse pubbliche e col minimo impegno di Mittal”. Dopo il recente annuncio dell’azienda di prorogare dal 14 settembre la Cig con causale Covid per altre nove settimane, le sigle metalmeccaniche, due giorni fa, si sono riunite in Consiglio di fabbrica per decidere forme di mobilitazione e dare una svolta alla vertenza. Al centro delle richieste, ancora una volta, il futuro dell’occupazione e garanzie per la sicurezza sul lavoro.