Sono sei i capitoli, ribattezzati dal governo ‘missioni’, su cui si articolera’ il Recovery plan italiano, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che indichera’ i progetti a cui destinare dal prossimo anno e fino al 2026 i 209 miliardi del programma Next Generation. Sei aree tematiche “strutturali” su cui articolare la modernizzazione del Paese e da cui far ripartire il Pil, raddoppiando il ritmo di crescita degli ultimi 10 anni e portandolo in media con quello europeo. Si parte dalla digitalizzazione e si passa per la rivoluzione verde, lo sviluppo delle infrastrutture, l’istruzione, la formazione, la ricerca e la cultura, l’equita’ sociale, di genere e territoriale e – ovviamente – la salute, da rafforzare e sostenere dopo l’emergenza sanitaria. Come promesso il governo ha inviato le linee guida al Parlamento e il premier Giuseppe Conte si e’ detto pronto a riferire alle Camere, assicurandone il pieno coinvolgimento in uno spirito “di massima collaborazione”, per recepire “indirizzi, valutazioni e proposte concrete di intervento”. Per ora il governo ha fissato i suoi obiettivi: raddoppiare il tasso di crescita dell’economia italiana portandolo dalla media del +0,8% dell’ultimo decennio ad un livello in linea con la media europea dell’1,6%; aumentare gli investimenti portandoli al 3% del Pil, conseguire un aumento del tasso di occupazione di 10 punti percentuali salendo dall’attuale 63% dell’Italia al 73,2% dell’attuale media Ue; portare la spesa per ricerca e sviluppo al 2,1% rispetto all’attuale 1,3%. E in base a questi target precisi, l’esecutivo ha anche fissato i paletti per l’ammissibilita’ dei progetti piombati a centinaia sui tavoli competenti (finora quasi 560 solo dai ministeri). Per essere presi in considerazione dovranno avere innanzitutto un “significativo impatto positivo” proprio su Pil e occupazione e dovranno riportare con chiarezza costi e impatti economici, ambientali e sociali, indicando tempistica e modalita’ di attuazione, con target intermedi e finali. In questa chiave vanno dunque interpretate alcune delle riforme che emergono dalle linee guida. Quella del fisco ad esempio, gia’ annunciata e in parte anticipata dal primo intervento sul cuneo fiscale partito a luglio e che dal prossimo anno il governo punta ad ampliare a favore sia dei lavoratori che delle imprese. Nel documento si va pero’ anche oltre, guardando probabilmente all’orizzonte temporale al 2026, e si parla di “una riforma complessiva della tassazione diretta e indiretta, finalizzata a disegnare un fisco equo semplice e trasparente per i cittadini”, trasferisca l’onere ”dalle persone alle cose” come raccomandato piu’ volte dalla Commissione europea, riduca la pressione fiscale sui ceti medi e le famiglie con figli e “acceleri la transizione del sistema economico verso una maggiore sostenibilita’ ambientale”. La riforma dell’Irpef e’ infatti strettamente legata da una parte al Family act, necessario anche per superare il gender gap che vede le donne ancora penalizzate nel mondo del lavoro, e dall’altra alla revisione dei Sussidi ambientalmente dannosi. Green e digitale sono del resto le parole d’ordine che ricorrono praticamente in ogni pagina del documento. Nelle missione sulle infrastrutture e la mobilita’ si punta addirittura all’installazione di colonnine di ricarica elettrica sulla rete autostradale, mentre in quella sull’istruzione rientra sia il cablaggio con fibra ottica delle infrastrutture scolastiche e universitarie, sia la loro riqualificazione in chiave di efficienza energetica e antisismica. Nello stesso capitolo il governo pensa anche all’arrivo di infrastrutture per e-learning e il potenziamento degli asili e dei nidi tra zero e sei anni. La digitalizzazione, con il completamento della rete in fibra, lo sviluppo del 5G e l’identita’ digitale, e’ alla base anche della telemedicina e del fascicolo sanitario elettronico a cui si punta nella sanita’ oltre che dello smart working, che va implementato e regolato. Il lavoro agile rientra tra gli obiettivi alla pari del salario minimo, caldeggiato anche da Ursula Von der Leyen, e che “garantira’ ai lavoratori nei settori a basso tasso di sindacalizzazione un livello di reddito collegato ad uno standard minimo dignitoso, evitando al contempo dumping contrattuale e rafforzando la contrattazione nei settori in cui e’ piu’ debole”.