La crisi determinata dall’emergenza sanitaria potrebbe far “esplodere” l’esercito degli abusivi e dei lavoratori in nero presenti in Italia oggi pari a 3,3 milioni. Stando alle previsioni dell’Istat, infatti, entro la fine di quest’anno circa 3,6 milioni di addetti rischiano di perdere il posto di lavoro. L’allarme arriva dall’Ufficio studi della Cgia che segnala come una parte di questi esuberi verrà sicuramente “assorbita” dall’economia sommersa. Non saranno pochi, infatti, coloro che, dopo aver perso il posto in fabbrica o in ufficio, si rimboccheranno le maniche in qualsiasi modo, anche ricorrendo al lavoro in
Stiamo parlando di quelle persone che non riuscendo a trovare una nuova occupazione accetteranno un posto di lavoro irregolare o si improvviseranno come abusivi. Grazie a questa scelta riusciranno a percepire qualche centinaia di euro alla settimana; pagati poco e in contanti, tutto ciò avverrà in nero e senza alcun versamento di imposte, contributi previdenziali e assicurativi. Oltre alla probabilissima espansione del lavoro irregolare, la situazione di difficoltà economica in cui versa il Paese sembra non essere avvertita dalle forze politiche e in generale dall’opinione pubblica. Le previsioni, purtroppo, non lasciano presagire nulla di buono.
Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo “nel 2009, che viene ricordato come l’annus horribilis dell’economia italiana degli ultimi 75 anni, il Pil in Italia scese del 5,5% e la disoccupazione a livello nazionale nel giro di due anni raddoppiò, passando dal 6 al 12%. Quest’anno, invece, se le cose andranno bene la contrazione del Pil sarà del 10%: una riduzione quasi doppia rispetto a quella registrata 11 anni fa. Alla luce di ciò, è molto probabile, dal momento in cui verranno meno la Cig introdotta nel periodo Covid e il blocco dei licenziamenti, che il tasso di disoccupazione assumerà dimensioni molto preoccupanti”.
Ad “ammortizzare” la perdita di posti di lavoro ci penserà l’economia sommersa. Gli ultimi dati disponibili dicono che in Italia ci sono oltre 3,3 milioni di occupati in nero e il 38% del totale è presente nelle regioni del Sud. Questo esercito di “invisibili” ogni giorno si reca nei campi, nei cantieri edili, nelle fabbriche o nelle case degli italiani per prestare la propria attività lavorativa. Pur essendo sconosciuti all’Inps, all’Inail e al fisco, gli effetti economici negativi che originano questi soggetti sono “devastanti”. Essi, infatti, producono 78,7 miliardi di euro di valore aggiunto sommerso.
Tasse, burocrazia e disoccupazione le condizioni per il lavoro nero
“Con troppe tasse, un sistema burocratico e normativo eccessivamente oppressivo e tanta disoccupazione – segnala il segretario della Cgia Renato Mason – l’economia irregolare ha trovato un habitat ideale per diffondersi, soprattutto in alcune aree del Paese. Inoltre, chi opera completamente o parzialmente in nero fa concorrenza sleale, altera i più elementari principi di democrazia economica nei confronti di chi lavora alla luce del sole ed è costretto a pagare le imposte e i contributi fino all’ultimo centesimo. Anche per questo è necessario che l’esercizio abusivo delle professioni artigianali vada contrastato e perseguito”. L’Ufficio studi della Cgia ha stimato come si ripartiscono a livello regionale i 78,7 miliardi di euro di valore aggiunto in nero all’anno prodotto da questi lavoratori abusivi. A livello territoriale la situazione piu’ critica si presenta nel Mezzogiorno. A fronte di poco più di 1.253.000 occupati irregolari (pari al 38% del totale nazionale), nel Sud il valore aggiunto generato dall’economia sommersa è pari a 26,8 miliardi di euro, che corrisponde al 34% del dato nazionale. La realtà meno investita dal fenomeno e’ il Nordest: il valore aggiunto prodotto dal sommerso e’ pari a 14,8 miliardi di euro.
A rimetterci non sono solo le casse dell’erario e dell’Inps, ma anche le tantissime attività produttive e dei servizi, le imprese artigianali e quelle commerciali che, spesso, subiscono la concorrenza sleale di questi soggetti. I lavoratori in nero, infatti, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto/servizio molto contenuto. Condizioni, ovviamente, che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire. Inoltre, non vanno nemmeno sottovalutate le condizioni lavorative a cui sono sottoposti gli irregolari: spesso a queste persone vengono negate le più elementari tutele previste dalla legge in materia di sicurezza nei luoghi in cui operano e in queste condizioni lavorative, gli incidenti e le malattie professionali rischiano di essere molto più frequenti. Oltre 3,3 milioni di persone di lavoratori irregolari, dicevamo, costituiti prevalentemente da lavoratori dipendenti che per una parte della giornata fanno il secondo/terzo lavoro, da cassaintegrati o pensionati che arrotondano le magre entrate o da disoccupati che in attesa di rientrare nel mercato del lavoro sopravvivono grazie ai proventi riconducibili a un’attività irregolare.
Campania, Calabria e Sicilia sono le realtà dove il lavoro nero è piu’ diffuso
A livello territoriale sono le regioni del Mezzogiorno ad essere maggiormente interessate dall’abusivismo e dal lavoro nero. Secondo l’ultima stima redatta dell’Istat e relativa al 1 gennaio 2018, in Calabria il tasso di irregolarità è pari al 21,6% (136.400 irregolari), in Campania al 19,8% (370.900 lavoratori in nero), in Sicilia al 19,4% (296.300), in Puglia al 16,6% (229.200) e nel Lazio al 15,9% (428.200). La media nazionale è pari al 13,1%. Le situazioni più virtuose, invece, si registrano nel Nordest. Se in Emilia Romagna il tasso di irregolarità è al 10,1% (216.200 irregolari), in Valle d’Aosta è al 9,3% (5.700), in Veneto al 9,1% (206.400) e nella Provincia autonoma di Bolzano si attesta al 9% (26.400).
Una situazione congiunturale difficile
Gli effetti del Covid sull’economia italiana sono stati pesantissimi. Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, nei primi sei mesi di quest’anno quasi tutti i principali indicatori economici del Paese sono preceduti dal segno meno. La produzione delle costruzioni è scesa del 24,2% (dato riferito ai primi 5 mesi); ordinativi industria -20,9%; export beni e servizi -20,4%; fatturato industria -19,0%; produzione industriale -18,3%; fatturato dei servizi -16,9%; investimenti -14,7%; consumi delle famiglie -11,9%; Pil-11,7%; commercio al dettaglio -8,8%. Il punto di partenza non era certo buono. Già nel 2019 la situazione economica del Paese era molto difficile, in particolar modo per quanto riguarda gli indicatori relativi al fatturato dell’industria (-0,3%), alla produzione industriale (-1%) e agli ordinativi dell’industria (-1,9%).