«Secondo la ricostruzione dell’accusa, la fattispecie criminosa sarebbe stata realizzata da Eni attraverso l’erronea classificazione come rifiuto non pericoloso dell’acqua separata dal greggio estratto nell’impianto di Viggiano, nonostante la presenza di sostanze tossiche che necessitavano di essere segnalate con appositi codici. Tali rifiuti, secondo quanto sostenuto dalla Procura di Potenza, sarebbero stati successivamente smaltiti in impianti della Val Basento».
«Lo scorso mese di luglio il Pubblico Ministero Laura Triassi aveva chiesto 33 condanne per alcuni dei dirigenti Eni, con un minimo di 4 mesi e un massimo di 4 anni e 6 mesi di reclusione. Fra le accuse ai vertici del Cova, i reati di “falso ideologico in atto pubblico” in concorso – per aver nascosto e dunque volontariamente omesso di segnalare diversi episodi avvenuti tra il 2013 e il 2014 circa il superamento dei limiti di emissioni di anidride solforosa – e di “smaltimento illecito di rifiuti petroliferi”.
Mentre per il primo di tali reati, lo scorso 10 Marzo Il Tribunale di Potenza presieduto dal dott. Rosario Baglioni ha ritenuto di assolvere la compagnia petrolifera “perché il fatto non sussiste”, pesanti sono state invece le condanne inflitte alla società Eni per il reato di traffico illecito di rifiuti. Oltre al riconoscimento della responsabilità penale per sette dei suoi dirigenti la compagnia petrolifera è stata, infatti, condannata al pagamento di una sanzione amministrativa di 700 mila euro e alla confisca “per equivalente quale profitto del reato” di circa 44,2 milioni di euro, da cui sottrarre i costi già sostenuti per l’adeguamento degli impianti. Secondo la ricostruzione dell’accusa, la fattispecie criminosa sarebbe stata realizzata da Eni attraverso l’erronea classificazione come rifiuto non pericoloso dell’acqua separata dal greggio estratto nell’impianto di Viggiano, nonostante la presenza al suo interno di sostanze tossiche che invece necessitavano di essere segnalate con appositi codici. Tali rifiuti, secondo quanto sostenuto dalla Procura di Potenza, sarebbero stati successivamente smaltiti in impianti della Val Basento.
In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, Eni già si prepara a presentare appello e a dar vita ad una nuova battaglia processuale. Compito affidato ai legali della Compagnia petrolifera nel corso del secondo grado di giudizio, sarà quello di dimostrare l’erroneità della sentenza di primo grado ed ottenere l’assoluzione per la mancata commissione del reato di cui all’art.452 quaterdicies c.p. Stante alle ultime pronunce della Suprema Corte di Cassazione in tema di reati ambientali – prosegue – sarà necessario dimostrare che l’attività di smaltimento rifiuti non abbia carattere della abusività, della continuità e che la stessa sia priva di un’organizzazione di attività e mezzi finalizzata al traffico illecito dei rifiuti, nonché volta ad ottenere un ingiusto profitto il quale, può consistere anche solo nella riduzione dei costi aziendali e, comunque, non assumere necessariamente carattere patrimoniale, potendo essere costituito anche da vantaggi di altra natura. Inoltre, poiché la giurisprudenza consolidata della Cassazione classifica detto reato quale illecito che necessita per il suo perfezionamento della reiterazione nel tempo di una pluralità di condotte della stessa specie, sarà certamente necessario dimostrare da un lato, l’assenza di qualsivoglia organizzazione e dall’altro che nel Cova non viene posta in essere alcuna reiterata attività di miscelazione vietata di rifiuti pericolosi, nonché che la tecnica utilizzata dall’Eni per re-iniettare le acque nella roccia serbatoio di origine, da cui sono state estratte insieme agli idrocarburi, altro non è che un’attività legittima, poiché prescritta dalle autorizzazioni rilasciate. Compito altrettanto arduo spetterà al collegio giudicante poiché, nel merito, i Giudici della Corte dovranno assicurare un corretto bilanciamento di interessi, da un lato la salvaguardia dell’ambiente e dell’incolumità del cittadino, dall’altro il corretto funzionamento della giustizia ed eventualmente condannare la compagnia petrolifera coinvolta esclusivamente nel caso in cui risulti davvero integrato il reato in tutti i suoi elementi costitutivi. La Corte d’Appello – conclude l’avvocato Loredana Cavalcante – sarà chiamata, dunque, a pronunciare una sentenza “giusta” che sia il risultato di una valutazione oculata e obiettiva al fine di garantire che la verità processuale coincida con quella dei fatti».
Scopri le ultime notizie in tempo reale. News e aggiornamenti su politica, cronaca, lavoro, economia, attualità e molto altro su www.supersud.it