L’anno della pandemia è stato difficile per le mamme italiane, circa 6 milioni, che hanno dovuto districarsi tra lavoro e i figli piccoli rimasti a casa poiché non hanno potuto contare sul supporto di asili nido e scuole materne. Complessivamente nel 2020 sono state 249 mila le donne che hanno perso il lavoro e ben 96 mila erano mamme, di queste 4 su 5 hanno figli con meno di 5 anni. Sono quelle madri che a causa della necessità di seguire i più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. La quasi totalità – 90 mila su 96 mila – erano già occupate part-time prima della pandemia. Mamme ancora più in difficoltà nel Sud, con Campania e Calabria agli ultimi posti, mentre la situazione va meglio al nord, dove al vertice, come avviene dal 2012, ci sono ancora una volta le Province Autonome di Bolzano e Trento, seguite quest’anno dalla Valle d’Aosta, che “supera” l’Emilia Romagna.
L’aspetto positivo è che in tutte le Regioni c’è un miglioramento generale, dovuto ad una propensione maggiore ad un’equa distribuzione nei carichi di cura e lavoro familiare all’interno delle coppie, anche se non ancora sufficiente a ridurre gli squilibri esistenti. E’ quanto emerge dal sesto rapporto “Le Equilibriste: la maternità in Italia 2021” che Save The Children lancia alla vigilia della Festa della mamma per fare una analisi della condizione delle madri in Italia durante la pandemia Già prima del covid la situazione non era certo rosea: nel 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno interessato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze della prole.
Non è un caso, sottolinea Save The Children, se il nostro Paese detiene il primato delle madri più anziane d’Europa alla nascita del primo figlio (31,3 anni contro una media di mamme in EU di 29,4), per non parlare del tasso di natalità che durante la pandemia ha registrato un decremento del 3,8%, pari a 16 mila nascite in meno, rispetto all’anno precedente. Tra le 96 mila mamme che hanno perso il lavoro tra il 2019 e il 2020, 77 mila hanno un bambino in età prescolare, 46 mila hanno un figlio alla primaria (6-10 anni), mentre risultano aumentate le madri occupate con figli da 11 a 17 anni (+27 mila). I tassi di occupazione dei 15-64enni diminuiscono per entrambi i generi, passando al 67,2% per gli uomini (- 0,8%) e al 49% per le donne (- 1,1%).
Così i divari di genere nel 2020 raggiungono la soglia del 18,2%, penalizzando come sempre, alcune aree. Se al Nord e al Centro, infatti, si mantengono intorno al 15%, la forbice si allarga fino a 23,8% nel Mezzogiorno. Lo “shock organizzativo familiare” causato dal lockdown, secondo le stime – sottolinea Save The Children – avrebbe travolto un totale di circa 2,9 milioni di nuclei con figli minori di 15 anni in cui entrambi i genitori (2 milioni 460 mila) o l’unico presente (440 mila) erano occupati mentre lo “stress da conciliazione”, in particolare, è stato massimo tra i genitori che non hanno potuto lavorare da casa, né utilizzare dei servizi (formali o informali) per la cura dei figli: si tratta di 853 mila nuclei con figli 0-14enni, 583 mila coppie e 270 mila monogenitori, di cui ben l’84,8% donne.
Visto il quadro “fosco” Save The Children invoca urgenti politiche per l’infanzia, in particolare chiede alla politica di “mettere subito in atto misure in grado di creare un sistema integrato da zero a sei anni, che offra un servizio di qualità e gratuito in cui i bambini abbiano la possibilità di apprendere e di vivere contesti educativi necessari al loro sviluppo”.
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