Il piano delineato dal governo inglese per far fronte alla crisi generata dalla mancanza di carburante e prodotti alimentari – attraverso l’emissione di migliaia di visti di lavoro temporanei e il reclutamento di 200 soldati – salverà anche una parte consistente dell’export agroalimentare italiano. Esattamente 3,6 miliardi di euro, pari al 2,8% dei 46,1 miliardi totali. È quanto emerge da uno studio condotto da Coldiretti a partire dai dati Istat relativi all’ultimo biennio. D’altronde, l’effetto Brexit sulla filiera – per quanto scongiurato – ha già prodotto segnali visibili: nel primo semestre del 2021 – avvisa l’associazione di categoria – l’export italiano in Gran Bretagna ha registrato la prima contrazione dopo almeno dieci (-2%). Gran Bretagna quarto partner italiano – Per via dei pochi camionisti rimasti in Gran Bretagna, gli inglesi rischiano di rimanere senza carburante, a piedi, ma anche senza molti dei cibi a cui sono più affezionati. Primo tra tutti, il tradizionale tacchino di Natale. Ma le conseguenze della fuoriuscita del Regno Unito dall’Unione europea non si fermano qui e non riguardano solo il Paese Oltremanica. A fare i conti con le difficoltà logistiche e burocratiche che la Brexit sta implicando è anche il settore agroalimentare italiano. La Gran Bretagna è infatti al quarto posto tra i paesi partner dell’Italia per l’export di cibo e bevande, dopo solo Germania (7,73 miliardi), Francia (5,08 miliardi) e Stati Uniti (4,9 miliardi). Ecco perché Il piano studiato da Boris Johnson è una buona notizia anche per l’imprenditoria agroalimentare italiana, non solo per le tavole inglesi. Tra i prodotti Made in Italy scelti dagli inglesi dopo il vino e il prosecco, al secondo posto ci sono i derivati del pomodoro, seguono pasta, formaggi, salumi e olio d’oliva. Difatti il calo registrato nel primo semestre del 2021 – fa notare Coldiretti – è dipeso direttamente dalla contrazione dell’esportazione di questi prodotti. Mentre infatti l’export italiano sul mercato mondiale è aumentato del 12%, quello destinato al Regno Unito è diminuito del 2%: nello specifico a essere penalizzati sono stati pasta (-27%), salsa di pomodoro (-14%), formaggi (-6%), vini e spumanti (-2%). Sebbene per il momento siano salvi gli oltre 3 miliardi e mezzo di euro destinati al settore, le difficoltà nei rapporti tra Unione europea e Gran Bretagna potrebbero mettere in serio pericolo il Made in Italy. Il Regno Unito produce infatti appena la metà del cibo che consuma, motivo per cui è costretta a ricorrere ai mercati esteri: prima l’Europa (30%), seguita dalle Americhe (8%), dall’Africa (4%) e dall’Asia (4%). Ma le difficoltà causate dalla Brexit potrebbero trasformare il paese nel “cavallo di troia – avverte la Coldiretti – per l’arrivo del falso Made in Italy, un mercato che nel mondo fattura 100 miliardi”. Tra i maggiori contraffattori ci sono infatti gli Usa, con i quali gli inglesi stanno negoziando un accordo commerciale privilegiato, ma anche il Canada e l’ Australia che fanno parte del Commonwealth”. Non è un rischio ipotetico, ma reale: lo dimostrano – sottolinea la Coldiretti – le passate vertenze Ue nei confronti di Londra nei casi della vendita di falso Prosecco alla spina o in lattina fino ai kit per produrre in casa finti Barolo e Valpolicella o addirittura Parmigiano Reggiano”.
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