Se c’è un percorso che consentirà all’Italia di rimettersi in moto, questo è legato in gran parte al successo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. E non tanto agli oltre 200 miliardi di euro messi in campo dall’Europa, quanto dai cantieri, dalle infrastrutture, dalla coesione, dall’attenzione alle fasce più deboli, che si riuscirà a realizzare. Un percorso che ha un traguardo fissato: il 2026, anno entro il quale i contratti, le opere, le riforme dovranno essere realizzati. Cinque anni per cambiare un Paese sono pochi, naturalmente. Qualcuno calcola che gli obiettivi da raggiungere, per tenere il passo delle condizioni dell’Unione Europea per l’”avanzamento lavori”, sono circa mille. Un record che mette alla prova l’intera macchina amministrativa del Paese, dai comuni ai ministeri. Alla Regioni, che chiedono sempre un maggior coinvolgimento. E si giocherà tutto sulla capacità di una nuova partnership tra pubblico e privato in questa trasformazione. Ma quali sono le sei missioni del Pnrr, che tracciano un percorso che va dalle infrastrutture ferroviarie, all’energia, alla trasformazione digitale, alla sostenibilità, alla coesione?. Il libriccino che troverete oggi, lunedì 13 dicembre, in edicola, gratuitamente con il Corriere della Sera è stato curato dalla redazione Economia con l’obiettivo di raccontare che cosa c’è dentro, che cosa prevede il documento di politica economica e di crescita forse più importante degli ultimi anni. La via d’uscita del Paese alla tragedia della pandemia. Solo due numeri: il Prodotto interno lordo è caduto di circa il 9% nel 2020 e in questo 2021 sta crescendo di circa il 6%. Una quota di questo dato è legata proprio alle aspettative di realizzazione del Piano, che da solo potrà generare a cascata molte ripartenze. I capitoli sono sei, con un approfondimento dedicato alla rigenerazione, una parola entrata con grande forza nel nostro vocabolario e che non riguarda soltanto gli edifici o le città, ma molte aree dell’attività economica. Il capitolo della Salute è stato curato da Enrico Marro, quello sulle Infrastrutture e mobilità sostenibile da Claudia Voltattorni, quello sulla digitalizzazione (Federico De Rosa); la rigenerazione (Paola Pica); transizione ecologica (Edoardo Vigna); Istruzione e ricerca (Alessia Conzonato); Inclusione e Coesione (Andrea Ducci). Nessun Paese ha ottenuto tante risorse come l’Italia, il secondo è la Spagna con circa 80 miliardi. Dunque, una grande responsabilità. C’è poi un aspetto che talvolta viene sottovalutato: molte delle risorse che riceveremo dovranno essere restituite, dunque gli investimenti, quelle che il premier Mario Draghi ha definito il “debito buono”, dovranno generare risultati e non potremo permetterci il vizio antico delle cattedrali nel deserto. Un buon segnale arriva dai mercati: i prestiti Ue lanciati per raccogliere risorse, come il bond Sure mirato a raccogliere fondi per la lotta alla disoccupazione sono andati tutti esauriti. Dunque il mercato è pronto, tocca alle amministrazioni fare la loro parte.