Senza essere espressa in euro la ricchezza degli italiani varrebbe molto meno, ad iniziare dal patrimonio immobiliare che nelle vecchie lire non sarebbe poi granché. Criticata all’avvio per le speculazioni e i prezzi gonfiati, soprattutto nel commercio, ritenuta una camicia di forza dai sovranisti per non consentire più svalutazioni competitive e ripetute con cui interi settori industriali italiani hanno saltato il rinnovamento produttivo per conquistare i mercati, la moneta unica europea festeggia il suo ventesimo compleanno e alla fine sembra aver messo da parte ogni polemica. Soprattutto in questi anni di pandemia che hanno visto l’euro generare una primordiale condivisione del debito dei diversi Stati lasciando spazio alla solidarietà del Next generation Eu e dei sostegni all’indebitamento. La divisa Ue inizia a circolare il primo gennaio del 2002 ma – preceduta dall’embrione di unione monetaria dal paniere Ecu vincolato dal 1979 allo Sme, un meccanismo di stabilità monetaria con cambi fissi e bande di oscillazione definite per le monete nazionali – viene strutturata e codificata alla fine del 1998 con la definizione del rapporto con le valute dei singoli stati. Contro la lira verrà fissato a 1.936,27 un rapporto da alcuni ritenuto punitivo per l’economia italiana. In ogni caso , come previsto, l’ora X scatta alla mezzanotte del 31 dicembre 2001 e la moneta unica entra nelle tasche degli europei. Nasce con gli auguri del presidente Carlo Azeglio Ciampi, che per la moneta unica ha speso gran parte della sua esperienza professionale e politica, e del Papa, che lo accompagna all’Angelus con uno speciale augurio di pace. In un bagno di folla e tra gli scoppi dei mortaretti di Capodanno l’allora presidente della Commissione europea, Romano Prodi, altro alfiere della moneta unica, ne dà l’avvio simbolico da Vienna comprando subito dopo lo scoccare della mezzanotte un gran mazzo di rose per sua moglie e pagandolo in euro. Il giorno dopo debutterà sui mercati con un concambio sul dollaro stabilito a 1,16 e chiudendo la seduta a 90,38 cent dopo un massimo di 90,63. I primi Paesi a passare all’euro quale unico mezzo di pagamento – si era stabilito di concedere due mesi di doppia circolazione per favorire la dimestichezza con le nuove banconote e monete – sono gli olandesi alla mezzanotte del 28 gennaio, seguiti dagli irlandesi il 9 febbraio e dai francesi il 17 febbraio. Controverso il caso della Germania. I rigorosi tedeschi in teoria avrebbero voluto disfarsi del loro amato marco in una sola notte, quella di Capodanno, evitando qualsiasi periodo di doppia circolazione con l’euro, una missione impossibile. La lira termina il suo corso legale il 28 febbraio ma già dalla prima settimana di gennaio, contraddicendo le fosche aspettative dei critici, il 95% degli acquisti degli europei avviene in euro. Poi una navigazione più o meno tranquilla fino al 2008 quando la crisi finanziaria globale minaccia la moneta unica dalle fondamenta: la mancanza di un governo comune dell’Unione appare subito il suo tallone d’Achille su cui inizia a puntare la speculazione, prima mettendo in ginocchio il debito sovrano della Grecia nel 2010, poi puntando al cuore del sistema, i debiti dei ‘Piigs’, Portogallo, Irlanda, Spagna, oltre ad Atene e soprattutto l’Italia, il boccone più grande. Inizia la corsa dello spread italiano rispetto ai solidissimi Bund tedeschi lungo tutto il 2011. Fino ad arrivare in agosto alla lettera della Bce con cui si intima a Roma di mettere in atto alcune misure. Lo spread sale fino a toccare i 574 punti il 9 novembre, quando alla guida del governo è Silvio Berlusconi. Ne consegue la crisi di governo con l’arrivo di Monti per la messa in sicurezza dei conti italiani. Ma il salvataggio definitivo e perentorio dell’euro arriva il 26 luglio del 2012, con la celebre frase “whatever it takes to preserve euro”, pronunciata a Londra dal presidente della Bce, Mario Draghi, succeduto a Trichet nel novembre precedente con i mercati in pieno panico. Da allora la speculazione rallenta fino a rientrare e lasciare spazio ad un dibattito tra falchi e colombe su come gestire l’indebitamento nell’Eurozona, in pratica l’enorme massa di debito pubblico italiano, acquistato dalla Bce in questi anni in maniera generosa. Poi la pandemia rimette tutto in discussione e a schizzare come fuochi d’artificio sono i debiti pubblici di tutto il mondo e dei paesi europei in particolare, costretti a finanziare costosi lockdown e fermi produttivi. L’euro diventa quindi l’ancora, non più la zavorra per molti europei, anche i più frugali. Adesso sulla moneta unica si proiettano le ombre dell’inflazione, che dopo anni di andamento sottotraccia e comunque sotto il 2% stabilito come obiettivo di politica monetaria a Francoforte, ora naviga ben sopra la soglia definita psicologicamente rilevante, soprattutto per la Germania. Dall’Eurotower assicurano che si tratta di rialzi mondiali transitori, dalla Fed non ne sono più convinti e i falchi europei iniziano a rimettersi in volo in difesa di un euro che non dimentichi troppo l’eredità del marco e torni a guardare verso Nord.
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