Impatto pesante quello del Covid sull’economia italiana, che ha causato una contrazione del Pil del 8,9% e ha portato con sé la paura di un contraccolpo sul tessuto imprenditoriale non solo italiano, ma anche europeo. Il timore era fondato: in passato eventi simili hanno portato a repentini aumenti di fallimenti e uscite dal mercato delle imprese. Invece, grazie alle misure di sostegno e ristoro adottate, nel 2020 i fallimenti e le uscite dal mercato sono stati inferiori a quelli del 2019, registrando rispettivamente un -33% ed un -27%.
A segnalarlo è Banca d’Italia, nella nuova Nota Collana Covid ‘L’impatto del Covid19 sui fallimenti e le uscite dal mercato delle imprese italiane’, che utilizza le osservazioni registrate da InfoCamere sugli effettivi fallimenti e le uscite dal mercato di tutte le società di capitali e di persone (escluse le ditte individuali) fino al terzo trimestre del 2021.Sono infatti poco meno di 7.400 le imprese che hanno avviato una procedura concorsuale liquidatoria, contro le quasi 11.000 nel 2019. Si parla di un calo di circa un terzo. Allo stesso modo, le istanze di fallimento nel 2020 sono diminuite di circa un quarto rispetto al 2019 e le imprese uscite dal mercato sono passate dalle 70.000 del 2019 alle 50.00011 del 2020. Il calo è in parte dovuto alla moratoria sulle istanze di fallimento, in vigore proprio in quei mesi in cui il calo è più marcato, cioè tra marzo e giugno. Ma da sola, la moratoria non è sufficiente a spiegare un trend così positivo. In questo scenario rilevano molto di più quelle misure di supporto per le imprese introdotte dal governo fin dall’inizio della pandemia, come, ad esempio, la moratoria sul rimborso dei prestiti, le garanzie pubbliche su nuovi prestiti e i contributi a fondo perduto.Banca d’Italia lo spiega chiaramente nella nota: “Nei mesi successivi al primo lockdown, il numero di fallimenti e uscite, pur in significativo aumento, si è mantenuto in generale al di sotto dei livelli del 2019. È possibile che il blocco delle istanze di fallimento fino a giugno 2020 possa aver contribuito al calo dei fallimenti anche negli ultimi due trimestri del 2020: l’istanza, quando dà luogo a una dichiarazione di fallimento, tipicamente la precede di circa quattro mesi. Tuttavia, è improbabile che tale effetto si protragga più a lungo. Da un lato, nel terzo trimestre del 2020 si nota già un parziale ‘rimbalzo’ delle istanze di fallimento, che crescono rispetto allo stesso trimestre del 2019, tornando però nell’ultimo trimestre del 2020 a un livello inferiore a quello riferito al 2019. Dall’altro, data la durata limitata delle istanze di fallimento, è difficile che la loro sospensione sia una determinante significativa del minore numero di fallimenti dichiarati nel 2021 rispetto al 2019. In base ai dati disponibili, nei primi tre trimestri del 2021 i fallimenti dichiarati sono circa l’85%di quelli osservati nei corrispondenti trimestri del 2019, le istanze di fallimento sono pari all’80% e le uscite dal mercato al 75%”.Pollice su per il governo dunque, non solo per le misure pensate ma anche per le modalità con cui sono state messe in atto, facendo in modo che il loro ruolo risultasse proporzionalmente più marcato in quei settori che hanno sofferto di più lo schock economico della pandemia. Nonostante infatti la crisi abbia colpito imprese, aree geografiche e settori con intensità eterogenea, “le imprese fallite e uscite dal mercato nel primo anno della pandemia non appaiono strutturalmente diverse da quelle fallite e uscite nel periodo precedente”. Né, aggiunge la Banca d’Italia, “si rileva alcuna correlazione tra l’intensità dello shock economico e la variazione dei livelli di fallimenti e delle uscite dal mercato tra il 2019 e il 2020”. E anche le differenze nella distribuzione tra i settori di attività produttiva appaiono di entità contenuta. Ad esempio, non si osservano variazioni di rilievo nel peso dei settori associati al turismo e alle attività ricreative, tra i più colpiti dalla crisi pandemica. Fatto che suggerisce come “le risorse stanziate per il supporto alle imprese siano state utilizzate nei settori produttivi che ne avevano maggiormente bisogno, contribuendo a una valutazione positiva dell’efficacia delle misure nel contenere le crisi di impresa”, ha concluso la Banca.
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