Lo Stato italiano invoglia a studiare al Nord, rendendo fiscalmente meno conveniente il prosieguo degli studi post-diploma in un ateneo del Mezzogiorno. È messo nero su bianco nel Decreto ministeriale n. 1324 del 23 dicembre scorso, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 7 febbraio: chi si iscrive ad un qualunque corso di laurea (sia ad indirizzo medico che sanitario, scientifico-tecnologico e umanistico) in un ateneo del Nord, ha diritto ad una detrazione sensibilmente maggiore rispetto a chi, per i propri studi, preferisce rimanere al Sud o opta per una Università del Centro Italia.
La penalizzazione (in termini fiscali) è particolarmente grave per i corsi di studio ad indirizzo sanitario: se si studia al Nord si ha diritto ad una detrazione di 3.900 euro. Se si studia al Sud, la detrazione è di ben 1.200 euro più bassa. Per medicina, la situazione muta di poco: 3.900 euro di detrazione al Nord, 2.900 al Sud.
Novecento euro la differenza – sempre in termini di detrazioni consentite – per le lauree ad indirizzo scientifico e tecnologico (3.700 al Nord, 2.600 al Sud), 700 per quelle ad indirizzo umanistico e sociale (3.200 al Nord, 2.500 al Sud)
Non è dato comprendere le ragioni di questa evidente discriminazione territoriale: l’art. 1 del Decreto, che contiene la tabella riepilogativa delle detrazioni (penalizzato anche il Centro Italia, rispetto al Nord, ma in maniera meno evidente rispetto al Mezzogiorno), si limita a stabilire che “La spesa relativa alle tasse e ai contributi di iscrizione per la frequenza dei corsi di laurea, laurea magistrale e laurea magistrale a ciclo unico delle Università non statali, detraibile dall’imposta lorda sui redditi dell’anno 2021, ai sensi dell’articolo 15, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è individuata, per ciascuna area disciplinare di afferenza e zona geografica in cui ha sede l’Ateneo presso il quale è presente il corso di studio, negli importi massimi” indicati nella tabella sopra sintetizzata.
C’è chi accampa la scusa che al Sud le università costano meno: sfugge però, in questa considerazione, il gap in termini di infrastrutture e servizi che scontano gli studenti meridionali nel fruire dell’offerta formativa. Non solo: l’attuale sistema di assunzione di professori e ricercatori (che risale alla riforma Gelmini), è ancora legato all’impatto delle spese ordinarie (personale, oneri, fitti) sulle entrate fisse degli atenei, rappresentate dal fondo di finanziamento statale e dalle tasse degli studenti. Un dato, quest’ultimo, ovviamente migliore negli atenei settentrionali, dove si incassa di più perché maggiore è il gettito fiscale.
Una logica che ha già portato il Sud a perdere il 26,4% dei propri diplomati, che hanno deciso di conseguire la laurea in università del Centro e del Nord.
In quindici anni il Sud ha perso oltre 37mila matricole. Non solo: al Centro Nord, registra lo Svimez, il turn over degli insegnanti è decisamente migliore: per ogni docente che esce ne entrano fino a cinque. Al Sud, meno di uno (e le università perdono più di cento docenti ogni anno).
Politiche che premiano e favoriscono palesi discriminazioni ed iniquità territoriali: Sempre, sistematicamente, a discapito del Mezzogiorno.