Ha scelto di non vaccinarsi e ora, guarito dal Covid, ha deciso di non tornare a scuola, rinunciando alla sua grande passione: l’insegnamento. In una lunga lettera rivolta alla Scuola e ai suoi amati alunni, il docente di matematica spiega le sue ragioni sostenendo che le regole legate all’introduzione del green pass sono «ingiuste, illogiche e discriminatorie»
Di seguito la lettera integrale
«Cara Scuola,
mi separano ormai pochi passi per poterti riabbracciare. Tre piccoli e insignificanti scalini per entrare in farmacia, un tampone dalla dubbia efficacia, un QR code nuovo di zecca da avvenuta guarigione e potrei finalmente tornare a fare quello per cui sono nato, il professore. Appartengo ad una famiglia che da tre generazioni ha dato tutto per l’insegnamento. I miei nonni, i miei genitori e molti altri familiari hanno istruito e formato i loro studenti con diligenza, passione, dedizione e onestà intellettuale. Sono venti anni che ho sposato la stessa missione e posso serenamente affermare, senza timore di smentita, di aver avuto come unico faro la formazione e la crescita individuale e culturale dei miei alunni. Ho insegnato la matematica in tutte le sue forme, dall’aritmetica alla geometria passando per la logica, la statistica e il calcolo delle probabilità, allo scopo di seminare quei principi-strumenti che da sempre arricchiscono il terreno della scienza. La scienza, appunto, quella che per molti ormai ha perso il suo significato originale di strumento per arrivare ad una conoscenza affidabile della realtà, un’indagine verificabile e ripetibile, basata sul metodo di ipotesi-deduzioni-controllo sperimentale, ma che adesso sembra somigliare sempre più ad una religione. Dopo due mesi di assenza forzata dal mio lavoro, da quando è entrato in vigore l’obbligo del cosiddetto green pass, si è presentata la possibilità di tornare ad occupare quel posto che mi spetta di diritto, un’opportunità che mi permette di ri-assaporare con nostalgia quei momenti intensi che hanno segnato la mia carriera, le emozioni che gli studenti mi hanno trasmesso, la fierezza di aver contribuito a renderli degli adulti migliori, più consapevoli e con maggiore senso critico. Rivivo anche alcuni momenti vissuti insieme ai miei colleghi quando, con orgoglio, ci riempivamo la bocca di concetti come uguaglianza, rispetto per le diversità, inclusione, solidarietà, accoglienza, diritti universali. Tutti princìpi e valori che ancora oggi guidano ogni mia scelta, professionale e non, ma che all’improvviso mi sembrano parole svuotate del loro significato originale perché in conflitto con le nuove norme. I bei ricordi svaniscono all’istante e vengo assalito dai dubbi. Con che coraggio tornerei a guardare negli occhi la mia classe? Come potrei sedere in cattedra quando ci sono e ci saranno alunni che, invece di stare in classe, verranno costretti a seguire le lezioni da dentro una scatola, ghettizzati tra le pareti della propria stanza, separati dai loro compagni, soltanto per aver esercitato la propria sacrosanta libertà ad autodeterminarsi? Come farei a nascondere quella frustrazione indotta da un sistema malato che ha costretto alcuni colleghi a violare il proprio corpo per conservare il posto di lavoro? Quali parole potrei usare per alleviare lo strazio di altri professori che hanno dovuto abbandonare la loro missione di vita per rimanere coerenti alle proprie convinzioni sulla vita stessa e sulla inviolabilità del corpo umano? I dubbi si trasformano in certezze: non ce la posso fare! Sono sicuro, cara Scuola, che tornando tra le tue braccia correrei rischi per la mia coscienza certamente superiori ai benefici. Sono perfettamente consapevole delle conseguenze di questa decisione, ma sono altresì convinto di non riuscire ad essere così ipocrita da ignorare l’istigazione alla discriminazione che ogni giorno stai perseguendo con atteggiamento incosciente e privo di lungimiranza. Concludo la mia lettera per dirti che, nonostante tutto l’amore che provo per te e per i miei alunni, mi sottraggo a questa malsana funzione che tu stai rivestendo nella formazione dei cittadini del futuro. Non voglio essere complice del danno che si sta arrecando all’intera società. Il giorno in cui risorgeranno i diritti e i valori in cui ho sempre creduto (perché quel giorno arriverà, dovrà arrivare per forza) sarò lieto di tornare a far parte del tuo organico. Spero che questo messaggio arrivi anche ai tuoi rappresentanti, specialmente a quei presidi che mi hanno offerto un posto di lavoro per i prossimi mesi. Capisco perfettamente che ognuno di noi, in base al ruolo che ricopre, ha delle regole da rispettare, ma la storia ci insegna che quando le regole sono palesemente ingiuste, illogiche e discriminatorie, come dimostra essere quella del green pass, spetta alla coscienza del singolo ri-attivare i propri anticorpi affinché la società civile riaffermi se stessa, reagendo per ripristinare i propri diritti e onorare i valori dell’umanità.
Ad Maiora. Gaetano Iarussi».
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