L’associazione di promozione sociale ‘South Working – Lavorare dal Sud’ e lo Studio Legale LabLaw presentano una proposta di emendamento al testo di legge unificato sullo smart working approvato in commissione Lavoro presso la Camera dei deputati, in vista della discussione parlamentare per l’approvazione della nuova legge chiamata a regolamentare la materia dopo la significativa esperienza in periodo di pandemia. Si tratta di una proposta trasversale che vuole mettere in chiaro il definitivo superamento del concetto di lavoro agile inteso come lavoro da remoto, con il fine di valorizzare lo smart working quale modello di lavoro attorno al quale le aziende possono costruire nuove strutture organizzative, andando incontro alle persone, sviluppando una nuova cultura digitale sfidante e inclusiva, in cui i limiti territoriali non siano più percepiti come tali a vantaggio dell’intero mercato del lavoro. In questo modo, sarà possibile consentire, a chi lo desidera, di continuare a lavorare in modo agile anche per lunghi periodi dai territori di preferenza, valorizzando il Sud e le aree interne del Paese, con un miglioramento quali-quantitativo dell’intera forza lavoro nazionale che potrà essere così trattenuta con l’offerta concreta di un futuro professionale adeguato, riducendo flussi migratori che impoveriscono molte aree dell’Italia. Le proposte di modifica si concentrano su un modello di lavoro agile per obiettivi, ben diverso dal telelavoro, sulla centralità del ruolo della contrattazione collettiva e sulla necessità di dotare tutti i territori di infrastrutture adatte al lavoro, nella forma di spazi di coworking, utili per consentire confronti e aggregazioni in grado di elevare culturalmente qualunque area del nostro paese. “La nostra proposta – spiega ElenaMilitello, fondatrice e presidente dell’associazione South Working, che da due anni si occupa di sensibilizzazione sul e studio del fenomeno – è ispirata a una visione volta a garantire la coesione territoriale e contribuire a ridurre gli enormi divari tra regioni e tra grandi città e aree interne del Paese, tra grandi distretti urbani e aree marginali. Nel Focus sul ‘South Working’ del Rapporto Svimez 2020 si stimano circa 58.000 lavoratori e lavoratrici potenzialmente interessate al south working nel lungo periodo, mentre una recente ricerca dell’Associazione italiana direttori del personale ha fatto emergere un’apertura al south working nel 15% delle aziende intervistate”. “Si tratta di una modalità di lavoro – prosegue – già ampiamente adottata in via sperimentale dai lavoratori e dalle lavoratrici, spesso coloro i quali erano stati ‘migranti intellettuali’, lasciando le proprie reti sociali e familiari per cercare migliori opportunità di studio e di lavoro lontani dai propri territori di origine. I south worker meritano un riconoscimento normativo a livello centrale per superare le resistenze anti-moderne e garantire un approccio di reciproco vantaggio (win-win) tra tutti i portatori di interesse, basato sulla volontarietà per i lavoratori, sull’aumento di produttività per i datori di lavoro e sul recupero dei legami di comunità per i territori interessati ad attrarre capitale umano”. “In particolare – aggiunge Militello – l’esperienza acquisita in questi due anni di telelavoro emergenziale da casa, spesso isolati e con doppio o triplo carico di lavoro, specie per le lavoratrici donne con figli e/o genitori a carico, ci spinge a riflettere sulla possibilità di incentivare la diffusione di spazi di lavoro condiviso (coworking) su tutti i territori, permettendo ai Comuni delle aree marginali di dotarsi di questo servizio. Questi spazi sono pensati come ‘presidi di comunità’, ossia luoghi in cui evitare l’isolamento della propria casa e consentire una florida relazione tra i south worker e le comunità locali, troppo spesso rimaste indietro per uno spopolamento emorragico ma non più inevitabile, dotando questi luoghi di infrastrutture di comunità, oltre che di trasporto e di connettività. Per questo motivo, i fondi per i Comuni, nella misura di 10 milioni per l’anno in corso, verrebbero stanziati a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione”. “Le modifiche proposte sono finalizzate a centrare gli obiettivi cui deve tendere lo smart working nei moderni contesti economici sperimentati dopo la pandemia”, afferma Alessandro Paone, avvocato giuslavorista ed equity partner di LabLaw Studio Legale, realtà da sempre in prima linea nella materia e nelle sperimentazioni normative in diritto del lavoro.