”Per assicurare a tutti i lavoratori un salario minimo, che garantisca quella dignità che deve derivare dal lavoro, la prima cosa che si sarebbe già da tempo dovuta fare è eliminare la tassa sulla povertà, cioè l’irpef, che ancora oggi grava sui salari poveri, cioè quelli fino a 8-9 euro orari”. Lo dichiara la Confsal, grande Confederazione indipendente dei lavoratori. ”Dopo tanti simposi a palazzo Chigi con le parti sociali ‘scelte’ e tre interventi legislativi sul cuneo fiscale, su cui pure sono stati impegnate decine di miliardi, non si è avuta la volontà e la capacità di fare questa operazione di elementare giustizia salariale e sociale”, afferma il sindacato. ”Questo sarebbe il primo modo per risolvere il problema dei salari poveri e consentire a tanti lavoratori di arrivare a fine mese”, aggiunge. ”I roboanti proclami che lamentano la povertà dei salari sono lacrime di coccodrillo di cui i lavoratori non sentono il bisogno”, secondo Confsal. ”Occorre ovviamente che anche la parte datoriale, nell’ambito della contrattazione collettiva, faccia la sua parte per compensare la perdita di valore subita dai salari per l’aumento dei prezzi che ha portato l’inflazione a livelli che non si registravano da anni”, aggiunge il sindacato. ”Bisognerebbe sapere che in molti di questi settori il valore aggiunto per dipendente non consente di sostenere il costo aziendale di un salario adeguato, per cui se non si interviene contestualmente con misure di sostegno per una riduzione strutturale del costo del lavoro in questi settori la crescita dei salari sarà oltremodo problematica”. In quanto al salario minimo legale, secondo il sindacato, per approvare ”un buon provvedimento legislativo, realistico e non ideologico, occorrerebbe la conoscenza dei parametri economici (valore aggiunto, monte salari, costo del lavoro) che caratterizzano ognuno degli oltre cinquecento settori produttivi di cui è composto il nostro sistema economico”. ”Bisognerebbe avere contezza che le tabelle salariali allegate ai Ccnl rappresentano spesso una finzione, che soddisfa la demagogia ma che non trova riscontro nella realtà fotografata dall’Istat attraverso i quadri delle retribuzioni orarie rilevate dalle buste paga”.
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