Nell’agroalimentare realizzano il 25% del Made in Italy; nel welfare erogano servizi a 7milioni di persone; nel credito le banche di credito cooperativo, le casse rurali rappresentano il 20% degli sportelli bancari; nella distribuzione al consumo e al dettaglio rappresentano un terzo del settore. Il 61% degli occupati è donna, la governance a guida femminile è pari al 26% delle cooperative, mentre negli altri modelli d’impresa non raggiunge il 16%. Con i workers buy out hanno fatto rinascere le imprese in default con i lavoratori diventati imprenditori di se stessi.
Sono i numeri del focus Censis Confcooperative “L’economia del territorio: Cooperative “catena sociale del valore” presentato a Trento nell’ambito del Festival dell’Economia in un convegno con Daria de Pretis, vicepresidente della Corte Costituzionale, Maurizio Gardini, presidente Confcooperative, e Francesco Ianeselli sindaco di Trento. Le 50mila cooperative italiane hanno un fatturato che si aggira sui 135 miliardi e un’occupazione superiore a 1,2 milioni di persone. La realtà cooperativa italiana, sotto il profilo dell’occupazione e del fatturato, vede concentrato nel segmento più strutturato il 90,7% della loro forza lavoro e l’88% del fatturato nella dimensione dai 10 agli oltre 250 addetti, con un’incidenza maggiore, in questo segmento, rispetto a quanto accade se si prende l’intero aggregato delle imprese italiane. Nella classe con almeno 250 addetti, 600 cooperative producono in termini economici poco meno di 70 miliardi di euro e impiegano oltre mezzo milione di persone. L’export della cooperazione vale 8 miliardi, realizzati soprattutto con il contributo del settore agroalimentare. Il presidente di Confcooerative ha puntato l’indice contro le «forme patologiche delle cooperative spurie» che «non aderendo alle centrali cooperative, si sottraggono alla nostra vigilanza come a quella del pubblico e sfuggono al censimento degli organi ispettivi». Ma Gardini non ha risparmiato critiche alla politica: «Abbiamo cercato di contrastare questa vera industria del crimine con un Ddl che è stato insabbiato nelle commissioni parlamentari. Evidentemente per il Parlamento non era una priorità».
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