Dopo solo cinque ore dall’avvio del “click day” per gli incentivi del Ministero dello Sviluppo economico a sostegno dello sviluppo e del consolidamento delle imprese femminili alcune centinaia di titolari di aziende-ditte lucane sono state “tagliate fuori”. L’elevato numero di domande presentate ha istantaneamente prosciugato il plafond di 400 milioni. Immediata la reazione di Donne Imprese Confartigianato con la Presidente nazionale Daniela Biolatto: “Ancora una volta abbiamo la conferma che la procedura del click day delude le aspettative delle imprenditrici e finisce per creare disparità nelle condizioni di accesso agli incentivi da parte dei potenziali richiedenti”. “Il forte interesse per le misure di sostegno all’imprenditoria femminile messe in campo dal Ministero dello Sviluppo economico – aggiunge la Presidente Biolatto – impone sia di prevedere un rifinanziamento del Fondo sia di rivisitare le modalità con le quali erogare le risorse. Riteniamo opportuno intervenire in modo strutturale per rendere gli incentivi permanenti almeno per i prossimi 5 anni, anche con una percentuale di aiuto inferiore a quella attuale, e complementari con altre misure di supporto alle imprese femminili”. Secondo la Presidente delle imprenditrici di Confartigianato “lo strumento di una sovvenzione una tantum non è la strada migliore da perseguire. Il sostegno alle imprese guidate da donne non può esaurirsi nello spazio di un click day e non va inteso come un’azione di inclusione sociale, di assistenza e di integrazione al reddito. Deve essere, invece, un pilastro della politica economica del Paese per rendere le donne realmente partecipi del processo di crescita competitiva dell’Italia”. “Avevamo fatto grande affidamento sulla misura che – dice Rosa Gentile, delegata nazionale ai Movimenti (Donne, Giovani) e presidente del Comitato Imprenditoria Femminile della Camera di Commercio Basilicata – abbiamo promosso e illustrato in tanti incontri in regione suscitando interesse ed aspettative. Il credito è una strada sbarrata alle donne”.
Quando una donna titolare di impresa va in banca a chiedere un prestito si sente chiedere prima di tutto “garanzie reali”. Poi in ordine: solidità finanziaria e piano di crescita economica dell’azienda. Risultato: il 46% delle imprese femminili dichiara il capitale proprio/familiare come la fonte di finanziamento e solo il 20% delle imprese femminili dichiara di ricorrere, almeno in qualche occasione, al credito bancario. Sono i dati di un’indagine Unioncamere che confermano come l’accesso al credito rappresenta uno dei fondamentali “gender gap” che caratterizzano il nostro Paese, in particolare il Sud, soprattutto nelle prime fasi dell’attività imprenditoriale. Gentile punta il dito contro il sistema bancario. “E’ di fatto il fattore più negativo che ostacola la crescita delle imprese femminili. Accade ancora, come confermano numerose ricerche, che il genere possa essere un elemento condizionante per le banche nella scelta dell’accettazione o del rifiuto, del tasso di interesse applicato o delle garanzie personali richieste». Gentile parla di “atteggiamento fatto per scoraggiare”: le imprese femminili dichiarano maggiormente di non fare ricorso al credito bancario aspettandosi un rifiuto e tra le imprese che hanno richiesto credito, nel caso delle imprese femminili rispetto a quelle di uomini è maggiore la percentuale in cui il credito erogato non è stato adeguato oppure la richiesta non è stata accolta. “Gli istituti di credito – aggiunge – creano molte più barriere alla partenza per le imprese femminili, causando un forte freno alla loro crescita che in parte potrebbe spiegare la minore propensione delle imprese femminili a investire nell’innovazione. Per questo è indispensabile rifinanziare la misura”.
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