di Daniela Mariano
Un anno dopo il ritorno dei talebani a Kabul la situazione per la popolazione afghana è molto preoccupante: oltre il 50 per cento ha necessità di aiuti umanitari, e il 97 per cento si avvicina ormai a essere sotto la soglia di povertà. Ma allo stesso tempo il governo de facto non ha fatto alcun tipo di apertura. Anzi, si è assistito a una regressione progressiva riguardo alla negazione dei diritti delle donne, della libertà di espressone. E non si vedono prospettive per un assetto inclusivo delle diverse etnie e minoranze religiose del Paese, con continui episodi di vendette nei confronti di ex appartenenti alla Repubblica”. Si registra “una regressione sia sul piano politico che nelle condizioni della popolazione”. A fare un quadro della situazione attuale in Afghanistan è, in un’intervista all’ANSA, l’ambasciatore italiano a Kabul, Vittorio Sandalli, che attualmente opera da Doha “grazie alle antenne sul campo, in particolare le ong italiane che sono rimaste meritoriamente sul posto, e a una presenza minima ma stabile dell’Unione europea e a quella dell’Onu”. Adesso e nel prossimo futuro “dobbiamo continuare gli sforzi che abbiamo portato avanti nell’ultimo anno, lavorando in due direzioni: da una parte continuando a sostenere la popolazione afghana attraverso gli aiuti umanitari, dall’altra mantenendo la pressione internazionale”, insistendo con il regime che “la ripresa dell’istruzione delle ragazze, ad esempio, e il rispetto dei diritti dei cittadini contribuiscono alla stabilità dell’Afghanistan. Così come la partecipazione di minoranze religiose ed etniche ai processi decisionali”, spiega l’ambasciatore. Per farlo dobbiamo contare “anche su quei Paesi della regione centro-asiatica e limitrofi che sono i primi a soffrire dell’instabilità del Paese in termini di flussi migratori, minaccia terroristica e traffici illeciti”. Secondo Sandalli, è necessario coinvolgere “i Paesi islamici moderati e l’Organizzazione della cooperazione islamica, che sono in grado di far emergere le contraddizioni della dottrina radicale e intollerante attuata dal governo de facto”. Sul fronte del sostegno alla popolazione, l’Italia, “tra i principali Paesi donatori, sin dal settembre 2021, ha aumentato notevolmente gli aiuti umanitari, facendovi confluire anche fondi che erano destinati ad altri progetti non più attuabili”. “La politica degli aiuti – sottolinea Sandalli – è coordinata dal ministero degli Esteri con le altre amministrazioni interessate in un tavolo che coinvolge anche le organizzazioni della società civile. Aiuti che vengono convogliati attraverso una decina di agenzie Onu e le nostre ong che fungono da enti attuatori. Certo è che non ci si potrà fermare agli aiuti umanitari, non è sostenibile una società in cui metà della popolazione sopravvive solo attraverso aiuti alle necessità di base. Occorrerà ampliarli alle altre forme, e cioè al sostegno all’agricoltura, alle micro imprese, alla manutenzione di strutture minime, all’educazione. Ma per fare tutto questo è necessario che da parte del governo de facto ci sia un mutamento di prospettiva che attualmente – constata il diplomatico – non è in vista”.