di Giovanni Gioioso
“In Europa siamo al terzo posto per il più alto carico fiscale, ci precedono Francia e Belgio”, è questo il monito a pagina 3 nel rapporto ‘Imprese nell’età del chilovatt-oro’ che Confartigianato ha presentato oggi alla propria Assemblea e che fotografa un habitat poco favorevole per gli imprenditori che si sforzano di uscire dalla crisi. Per l’associazione di artigiani e piccoli imprenditori sono ancora troppi gli ostacoli e gli oneri che frenano la corsa dei 4,4 milioni di micro e piccole imprese italiane impegnate a reagire con performance sul fronte dell’occupazione e delle esportazioni. Tra luglio 2021 e giugno 2022, hanno creato il 71% dei nuovi posti di lavoro e tra agosto 2021 e luglio 2022, nei settori a maggiore presenza di Mpi, le esportazioni sono pari a 141,2 miliardi di euro. Con la batosta del caro-bollette ed il peso della pressione fiscale, sulla competitività delle nostre imprese pesa anche il cuneo fiscale sul costo del lavoro che, nel 2021, è pari al 46,5%, vale a dire 11,9 punti in più rispetto alla media dei paesi avanzati. Il fisco pesa anche sull’energia con un carico superiore del 51,1% rispetto alla media dei Paesi Ue. E sul fronte dell’efficienza della pubblica amministrazione, Confartigianato mette in evidenza che soltanto il 28% delle amministrazioni locali prevede la possibilità di completare on line le pratiche amministrative. Si peggiora per quanto riguarda gli adempimenti per il settore dell’edilizia: solo il 15% dei Comuni consente l’avvio e la conclusione per via telematica dell’intero iter relativo ai permessi di costruire. Nel frattempo gli enti pubblici hanno accumulato un debito commerciale verso le imprese fornitrici di beni e servizi pari a 53 miliardi di euro e il 50,1% dei Comuni italiani non salda le fatture entro i 30 giorni fissati dalla legge. Per quanto riguarda il peso del debito commerciale della P.a. sul Pil siamo al 2,9%, quasi il doppio rispetto all’1,6% dell’Ue. Poi, gli sforzi dei piccoli imprenditori per agganciare la ripresa sono ostacolati anche dal gap scuola-lavoro all’origine della carenza di manodopera qualificata: le aziende non riescono a trovare il 55,9% dei lavoratori specializzati necessari a mantenere elevata la qualità manifatturiera made in Italy.