di Giovanni Gioioso
E’ salva l’etichetta di origine che obbliga ad indicare sulla pasta la provenienza nazionale o straniera del grano impiegato, come chiede il 96 per cento dei consumatori. Con due sentenze il Tar del Lazio ha respinto ricorsi di decine di produttori tra i quali i più noti: F.lli De Cecco di Filippo Fara San Martino, Barilla G. e R. Fratelli, DeMatteis Agroalimentare, La Molisana, F. Divella, Rummo, Pastificio Lucio Garofalo. Soddisfatta la Coldiretti che rilancia il Made in Italy 100 per cento. Nessuna illegittimità – dunque – nel decreto con il quale il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e forestali e il Ministero dello Sviluppo Economico a metà 2017 hanno imposto ai produttori di pasta l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di coltivazione del grano e il Paese di molitura; e tutto ciò, al fine di garantire ai consumatori un’informazione completa e trasparente, funzionale a consentire una scelta libera e consapevole nell’acquisto dei prodotti agro-alimentari. Il Tar ha ritenuto nel merito il ricorso infondato. Quanto al primo insieme di censure, con cui si lamentavano vizi procedimentali relativi alla violazione delle disposizioni di rango comunitario, per i giudici “è sufficiente rilevare come la mancata adozione da parte della Commissione europea degli atti esecutivi” del Regolamento di riferimento “non preclude allo Stato membro di dettare, nelle more, una disciplina nazionale corredata – come nel caso – dalla clausola di cedevolezza, di etichettatura dell’origine della materia prima per le paste di semola di grano duro, al fine di garantire una maggiore sicurezza e trasparenza verso i consumatori”. Quanto poi “al preteso obbligo di sottoporre il decreto impugnato ‘all’analisi dell’impatto della regolamentazione (AIR) e alla verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR)’, giova osservare come tale incombente costituisca al più una mera irregolarità dell’atto, che oltre a non essere sanzionato con apposita comminatoria d’invalidità, non risulta aver impedito il raggiungimento dell’interesse pubblico sotteso all’emanazione della disciplina in contestazione”. Con riferimento inoltre alle successive censure “inerenti vizi sostanziali per sviamento dell’interesse pubblico”, per il Tar “deve osservarsi che l’obiettivo primario del decreto sia quello di rendere al consumatore informazioni chiare e trasparenti sull’origine dei prodotti alimentari, al fine di valorizzare la sua libera e consapevole scelta, coerentemente a quanto stabilito dal Regolamento UE n. 1169 del 2011”. Da ultimo, i giudici hanno ritenuto destituita di fondamento la dedotta violazione del Regolamento per il fatto che il decreto contestato ha prescritto d’indicare il paese di origine dell’ingrediente primario, ma non anche l’indicazione del paese di origine dell’alimento. “Al riguardo è sufficiente osservare – scrive il Tar – come l’obbligo di indicazione in etichetta del paese di coltivazione del grano e del Paese di molitura, non esclude l’indicazione del Paese di origine dell’alimento, trattandosi di obbligo aggiuntivo e non sostitutivo rispetto alle prescrizioni in materia di etichettatura”.