di Giovanni Gioioso
Si tratta della prima volta in cui viene celebrata un’unione civile tra gli evocativi manufatti della tradizione di Pietragalla e inoltre i due ragazzi provenendo da Buenos Aires, suggellano ancora una volta il legame profondo tra il borgo lucano e le terre d’oltreoceano. Negli anni quaranta, infatti, in molti emigrarono da Pietragalla verso il Sud America, scegliendo in particolare l’Argentina, che prometteva un futuro economicamente migliore e più stabile. L’amore per il paese natio e un affettuoso sentimento nostalgico per le origini però, non si sono mai affievoliti, tanto che gli emigranti, all’inizio riuniti nel Matadero, quartiere di Buenos Aires, hanno formato un comitato e hanno deciso di continuare a festeggiare anche lì la festa del patrono di Pietragalla, San Teodosio, ogni prima domenica di dicembre. Sono avvenuti diversi gemellaggi tra gli expat e il paese lucano, come la traslazione delle reliquie del santo partite da Pietragalla nel 1979, o la partecipazione ai festeggiamenti in terra latina di un gruppo di compaesani e della banda musicale proveniente dalla Basilicata. I due ragazzi, uniti in matrimonio dal sindaco, sono dunque riusciti a coniugare un legame di affetto e di cultura con la rievocazione delle tradizioni rurali rappresentate dai Palmenti, scelti come luogo per la celebrazione. Il Parco dei Palmenti è formato da oltre 200 piccole costruzioni risalenti alla prima o alla seconda metà dell’Ottocento, che si inseriscono armonicamente nel paesaggio e rappresentano l’ingegno e la maestria dei contadini e vignaioli di Pietragalla. I palmenti sono dei piccoli laboratori per la produzione del vino e il loro nome deriva dal latino paumentum , che indicherebbe l’atto del pigiare, oppure la superficie stessa su cui avveniva la pigiatura dell’uva. Sono disposti su diversi livelli in una zona probabilmente scelta per la natura del terreno, ricca di rocce tufacee piuttosto facili da lavorare. Inoltre si trovano in una posizione che era attigua ai vigneti, con esposizione ad est per facilitare con il calore solare i processi di fermentazione. I palmenti sono composti da una parte costruita prevalentemente in muratura in pietra e una parte scavata direttamente nella roccia, che contribuiva anch’essa, con le sue proprietà isolanti, al buon esito della fermentazione. All’interno vi si trovano due o più vasche, in base a quelle che erano le esigenze produttive, create a diverse altezze. Nella prima, a livello terra o sopraelevata, avveniva la pigiatura delle uve, ed era collegata ad una vasca sottostante detta di fermentazione, quasi sempre scavata nel tufo, dove scorreva il mosto. Sul fondo della vasca di fermentazione c’è un canale in cui defluiva il vino, in corrispondenza di un anfratto abbastanza spazioso per ospitare i barili da riempire durante la svinatura. I barili venivano riportati al livello di ingresso, caricati sul dorso di asini o di muli e venivano trasportati nelle cantine di Pietragalla, le rutte, dove si sversava il vino nelle botti. I palmenti non sono più in uso dagli anni Settanta, ma alcuni viticoltori, proprietari di alcuni di essi, continuano a utilizzarli per una produzione a livello familiare di vino, mantenendo così viva la tradizione. Oltre al grandioso patrimonio di cultura rurale che rappresentano, i palmenti sono anche un esempio di architettura rupestre che disegna paesaggi fiabeschi, ricoperti dal manto naturale del terreno che, a seconda delle stagioni, offre una spettacolare superficie fiorita o innevata sui manufatti. Il parco dei palmenti può fare agilmente da magico sfondo sia a un matrimonio tra giovani che guardano al futuro, sia a una visita guidata alla riscoperta di ambientazioni evocative e della tradizione.