di Giovanni Gioioso
Crisi idrica e tutela del prodotto made in Italy, attraverso il contrasto alla concorrenza sleale: il futuro del pomodoro da industria (4,4 miliardi di euro di fatturato, di cui 2,5 miliardi derivanti dall’export) si concentra su due macrosfide. Sullo sfondo le forti criticità determinate dalla crisi nel canale di Suez – che ha rallentato i flussi commerciali impattando sui costi e minando la tenuta del commercio estero – e all’orizzonte la variabile Cina, in sorpasso sulla California nel ranking mondiale dei produttori. Le stime mondiali del World processing tomato council aggiornate a febbraio confermano l’Italia al terzo posto nella classifica mondiale dei produttori – dopo Usa e Cina – con 5,6 milioni di tonnellate lavorate (+4%) e prima nella Ue. «Nel 2023 – ammonisce Alessandro Squeri, dg di Steriltom, società leader in Europa nella produzione di polpa di pomodoro per il settore Food Service e Industriale – la Cina ha incrementato la propria produzione in maniera sproporzionata, toccando 8 milioni di tonnellate e per il 2024 prevede di diventare primo produttore mondiale con undici milioni; ma il dato più allarmante è che nel 2023 l’Europa ha quasi raddoppiato le importazioni di concentrato di pomodoro cinese». Da anni il comparto denuncia un divario sui costi tra filiere europee che producono in modo etico, sostenibile e perseguendo una corretta remunerazione ed omologhe non direttamente legate alla lavorazione del pomodoro fresco che, allo scopo di abbassare i costi di produzione, prediligono la lavorazione di derivati provenienti da Cina, Iran, Turchia ed Egitto, al di sotto degli standard minimi. «La produzione di pomodoro cinese – spiega Squeri – non segue gli stessi criteri di sicurezza europei in termini di pesticidi, ogm, tracciabilità, sostenibilità; l’Europa da una parte chiede ingenti sforzi alle imprese europee, ma allo stesso tempo permette l’importazione di prodotti che alimentano una concorrenza sleale». Non è un caso che il tema della reciprocità sia diventato oggetto di un documento urgente presentato a nome di tutta la filiera da Antonio Casana (Anicav) e Luigi Sidoli (OI Pomodoro da industria Nord Italia), alle istituzione italiane ed europee. Si punta – tra le altre cose – ad accelerare l’adozione di strumenti in grado di garantire la verifica e il controllo sull’origine della materia prima e a prevedere l’adozione di indicatori di sostenibilità ambientale e sociale standardizzati. All’Europa si chiede, infine, di supportare i produttori europei di pomodoro con aiuti accoppiati più consistenti, per colmare il gap competitivo con i Paesi extra europei. Intanto il settore si riorganizza. Negli ultimi anni diverse aziende trasformatrici del Nord Italia hanno realizzato importanti acquisizioni. L’ultima, in ordine di tempo, è stata Casalasco (brand Pomì e De Rica) che nel novembre 2023 ha rilevato il 70% della De Martino, società da 40 milioni di giro d’affari specializzata nella vendita delle conserve alimentari in Estremo Oriente e Scandinavia. L’acquisizione di De Martino ha fatto seguito a quella di Emiliana Conserve nel 2022, ma non mancano precedenti più indietro nel tempo (Rodolfi-Von Felten, Mutti-Copador, Italtom-Ferrara Food). «Gli accorpamenti e le acquisizioni hanno accresciuto la competitività internazionale delle produzioni del territorio», fanno notare dall’OI Pomodoro da industria del Nord. Intanto Anicav per la prossima stagione ha individuato un obiettivo di trasformazione, per l’intero bacino produttivo Centro Sud, di circa 26 milioni di quintali. Per il presidente, Marco Serafini, la campagna dovrà essere concentrata in 8-9 settimane. «Questo permetterà di ottimizzare i costi e di ridurre i consumi: c’è bisogno di una programmazione agricola che consideri l’esigenza dell’industria di una maggiore concentrazione delle consegne», conclude.