Nelle più rosee previsioni il Pil italiano di quest’anno, ovvero la ricchezza prodotta nel Paese, dovrebbe scendere, rispetto al 2019, del 10 per cento circa. A causa degli effetti negativi del Covid, pertanto, rischiamo di “bruciare” 160 miliardi di Pil. Per dare l’idea della dimensione della contrazione, è come se il Veneto fosse stato in lockdown per tutto l’anno. A dirlo è la Cgia. Dichiara in una nota il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo: “La gravità della situazione emerge in maniera ancor più evidente se paragoniamo l’attuale situazione economica con quanto accaduto nel 2009, annus horribilis dell’economia italiana del dopoguerra. Allora, il Pil scese del 5,5 per cento e il tasso di disoccupazione, nel giro di 2 anni, passò dal 6 al 12 per cento. Quest’anno, invece, se le cose andranno bene, il Pil diminuirà del 10 per cento circa. Con un crollo quasi doppio rispetto a quello registrato 11 anni fa, è evidente che una caduta verticale del genere avrà degli effetti molto negativi sul mercato del lavoro. Per questo diciamo no a qualsiasi chiusura generalizzata che aggraverebbe ancor più la situazione. Anche perché il peggio deve ancora arrivare. Quando verrà meno il blocco dei licenziamenti, infatti, correremo il rischio di vedere aumentare a dismisura il numero dei disoccupati”. Di fronte ad una crisi che ci impone di rilanciare la domanda interna – sottolinea la Cgia – le misure da adottare sono note a tutti: una drastica e strutturale riduzione delle tasse alle famiglie e alle imprese per far ripartire sia i consumi che gli investimenti. Purtroppo, abbiamo capito in questi giorni che la riforma fiscale verrà introdotta solo a partire dal 2022, mentre gli investimenti per realizzare le grandi opere sono legati alle risorse messe a disposizione dal Next Generation EU che, nella migliore delle ipotesi, arriveranno nella seconda metà del 2021, espletando il loro effetto solo a partire dall’anno successivo. Afferma il segretario Renato Mason: “Oltre ad avere un carico fiscale indiscutibilmente eccessivo, una pressione burocratica che continua a penalizzare chi fa impresa e un calo degli investimenti molto preoccupante, che interessa in particolar modo quelli di natura pubblica, c’è un’altra grossa criticità che rischia di mettere in seria difficoltà tante aziende, soprattutto di piccola dimensione. Ci riferiamo alla nuova normativa introdotta dall’Unione Europea che interessa le banche. Per evitare gli effetti negativi dei crediti deteriorati, Bruxelles ha imposto a queste ultime l’azzeramento in 3 anni dei crediti a rischio non garantiti e in 7-9 anni per quelli con garanzia reali. E’ evidente che l’applicazione di questa misura, in buona sostanza, indurrà moltissimi istituti di credito ad adottare un atteggiamento di estrema prudenza nell’erogare i prestiti, per evitare di dover sostenere delle perdite in pochi anni”