“Vendite a meno 94,7%. Otto servizi al giorno contro i 120 a regime. Siamo al lumicino ma faremo di tutto per resistere”: ad affermarlo è il vice presidente di Italo-Ntv, Flavio Cattaneo, in un’intervista a Repubblica in cui affronta la crisi del settore ferroviario causata dalle restrizioni contro la pandemia. “Le imprese vanno sostenute con forza”, ha sottolineato, “premetto che è sacrosanto salvare vite e questo secondo semi-lockdown è necessario e non sarò certo io a discutere delle scelte politiche”. “Quel che dico è che se salvi vite, giustamente, ma poi trovi il deserto fuori, lo Stato deve impegnarsi maggiormente, dare e fare di più visto che la maggior parte delle entrate arrivano dal settore privato”, ha aggiunto, “e quindi se muore il privato muore lo Stato”.
“Noi oggi ancora attendiamo le risorse stanziate ai tempi del primo lockdown”, ha denunciato Cattaneo, “i nostri dipendenti sono praticamente quasi tutti in cassa integrazione e sono circa 1.500 persone che diventano 15 mila con l’indotto che comprende i fornitori, la manutenzione dei treni, le imprese di pulizie, il catering, i quattro centri di manutenzione. Ecco, sarebbe già un passo avanti che il ministero dell’Economia firmasse quanto meno il primo decreto che risale al primo blocco di marzo”.
“La cassa integrazione non basta”
“A fine anno saremo vicini ai 500 milioni di euro persi”, ha lamentato il vice presidente di Italo, “se vuoi salvare il tessuto industriale devi investire nelle imprese e nella ripresa. Così alla ripartenza non solo si avrà del personale pronto a tornare al lavoro a ritmi sostenuti ma si potranno anche prevedere delle nuove assunzioni. Ma se si resta in un regime di mera ‘assistenza’ allora non si risolve nulla ma si rinvia il problema e i temuti fallimenti di molte aziende. Con tutte le conseguenze nefaste che seguono, ovvero i licenziamenti. A questo punto non è certo il credito il problema: occorrerebbe impegnare dei fondi sulla falsariga di Francia e Germania che intervengono a sostegno del fatturato in percentuale alla sua riduzione. Insomma, non basta la cassa integrazione per superare la fase più critica della pandemia”.