“Condividiamo le finalita’ per la quale ci si muove a livello europeo su come costruire un quadro di riferimento per la regolamentazione di salari adeguati. Siamo un po’ piu’ critici sulle indicazioni e soluzioni date o perlomeno le riteniamo, anche alla luce della esperienza italiana, incongrue’. Cosi’ il direttore area Lavoro e Welfare di Confindustria, Pierangelo Albini. Ascoltato in commissione Politiche Ue del Senato sulla proposta di direttiva europea sul salario minimo sulla quale il giudizio dell’Associazione e’ ‘in chiaroscuro’ e su cui, come viene spiegato in una memoria presentata. E’ comprensibile la posizione di chi “ritiene piu’ opportuno che si agisca tramite uno strumento non vincolante, che potrebbe assumere la forma di una raccomandazione del Consiglio”.
In particolare nella memoria, Confindustria si sofferma sull’unica parte della direttiva che “impegnerebbe” l’Italia, quella relativa alla contrattazione collettiva, individuando due criticita’. La prima e’ “nelle definizioni di ‘contrattazione collettiva’ e di ‘contratto collettivo'” che rappresentano un ‘arretramento’ rispetto al sistema italiano di relazioni industriali. Perche’ ‘non vi e’ alcun riferimento alla rappresentativita”. Il secondo punto riguarda il riferimento del 70% come tasso di copertura della contrattazione collettiva: ‘anche in questo caso non vi e’ alcun rimando al criterio della maggiore rappresentativita” e inoltre ‘la direttiva non da’ ulteriori indicazioni con riferimento ai criteri da seguire nel calcolo di tale indicatore’. Per quanto riguarda il dibattito nazionale sul salario minimo, nella memoria Confindustria ribadisce la sua posizione che “l’opzione preferibile e’ quella che prende a riferimento, per la determinazione del salario minimo e per il suo adeguamento, il sistema della contrattazione collettiva espressione delle organizzazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.