La prima settimana cruciale del post-Recovery, per il premier Mario Draghi, parte in salita. E’ sulla prospettiva dello stesso governo, infatti, che si innesca lo scontro tra Lega e Pd. Con Matteo Salvini che non reputa sia questo, l’esecutivo adatto per dar vita alle riforme richieste dal Recovery Plan, dal fisco alla giustizia.
E con Enrico Letta che, a stretto giro, avverte l’ex ministro. “Se quella e’ l’intenzione con cui Salvini sta al governo credo che le nostre strade debbano rapidamente divergere”, sottolinea il segretario Dem. Ma rispetto alla Lega c’e’ il non scontato distinguo di Forza Italia.
“Per noi le riforme sono indispensabili, con l’autorevolezza di Draghi e del suo governo”, puntualizza il capogruppo alla Camera Roberto Occhiuto. Il cronoprogramma di Draghi, entro la fine del mese, prevede un percorso a tappe forzate. Al decreto sostegni bis, gia’ la prossima settimana, si potrebbe affiancare il decreto semplificazione, architrave della prima fase di riforme con cui l’Italia punta incassare la prima tranche di aiuti europei entro luglio. Non solo.
Il premier avrebbe intenzione di accelerare anche sul decreto sulla governance del Recovery. E li’, le scintille che gia’ ora emergono nella maggioranza, potrebbe rallentare notevolmente il timing del capo del governo. Ma all’orizzonte c’e’ un punto, destinato nei prossimi mesi a divenire dirimente: “quanto deve durare il governo Draghi?”.
La prospettiva di Salvini non e’ neanche troppo celata. “Se lui fosse d’accordo, la Lega sosterrebbe con convinzione Draghi per il Quirinale”. Fatto che, salvo colpi di scena, innescherebbe automaticamente il ritorno alle urne nel 2022. Che la maggioranza fibrilli, agli stessi ministri, e’ piuttosto chiaro gia’ da qualche giorno. Non a caso, nel giorno del premier Question time di Draghi alla Camera, un ministro M5S non nascondeva i suoi dubbi rispetto alle tensioni che potrebbero segnare il semestre bianco.
E all’interno dei gruppi parlamentari del Movimento gia’ circola, con discrezione, un’ipotesi, con tutte le precauzioni del caso e senza alcuna intenzione di “tirare per la giacchetta” il presidente Sergio Mattarella: quella di poter chiedere all’attuale capo dello Stato la disponibilita’ a restare fino al compimento della legislatura. Una mossa che prevedrebbe la consequenziale permanenza di Draghi a Palazzo Chigi fino al 2023.
Lo scontro, per ora, verte tutto sui contenuti. Letta, nell’assemblea di Articolo Uno che lo vede assieme a Giuseppe Conte e Roberto Speranza in un’ipotesi di centrosinistra unito, sceglie la linea della nettezza: “Salvini lasci. E lasci che le riforme le faccia Draghi con chi le vuole”. A testimonianza del fatto che l’uscita della Lega della maggioranza, al centrosinistra non dispiacerebbe.
Un centrosinistra che, nel frattempo, prova a superare le scorie della mancata alleanza con il M5S alle Comunali di Roma. “La nostra esperienza comune non puo’ essere accantonata” in vista delle elezioni politiche, sottolinea Conte che, entro la fine di maggio, provera’ a dare il la’ definitivo al nuovo M5S. Draghi, per il momento, si tiene ben lontano dalle polemiche. Alla cabina di regia sulle riaperture di lunedi’, presumibilmente, provera’ a frenare le richieste di Lega e anche di FI. Poi, accelerera’ sui primi decreti Recovery e sui nuovi sostegni, che saranno tarati anche rispetto alle decisioni di lunedi’ sulle aperture.
Ma su giustizia e fisco la maggioranza resta lontanissima da un’intesa. La riforma del processo penale avanzata dalla commissione del ministero della Giustizia, ad esempio, continua a innescare “forti perplessita’” – come spiega l’ex sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi – nel M5S. Che punta a rallentare l’iter, concentrando le forze sulla riforma del processo civile. E sul fisco non va meglio.
“Far pagare di piu’ a chi sta meglio e’ una proposta di buon senso”, sottolinea Speranza. Difficile che la proposta passi con la Lega e Fi nel governo.
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