Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, da una stima interna al ministero delle Infrastrutture (Mims), assegna alle manutenzioni viarie circa 4,6 miliardi sui 62 di dote Mims. Una goccia, sui 40 di fabbisogno delle sole autostrade. Certo, si può contare sui pedaggi, ma per alcuni lavori, come la messa in sicurezza sismica di A24 e A25, sarà lo Stato a metterci soldi. Poi c’è la rete Anas, 32mila chilometri, circa il quintuplo di quella autostradale a pedaggio. E non è messa meglio, anzi. Si prevede che lo Stato metterà circa un miliardo l’anno. Infine, i quasi 120mila chilometri delle strade provinciali. Sono in condizioni ancora peggiori e necessitano di ben più degli 1,15 miliardi appena assegnati dal Mims e degli 1,9 miliardi che a fine 2019 l’Upi indicava come fabbisogno per gli appena 1.500 progetti all’epoca cantierabili. Col nuovo sistema tariffario varato dall’Art (Autorità di regolazione dei trasporti), è passato il messaggio che rispetto al vecchio i pedaggi rincareranno poco o caleranno. Difficile da conciliare col fatto che ora si spende molto di più nella manutenzione e che essa, contrariamente a prima, si finanzia con aumenti tariffari: dopo i crolli e le inchieste giudiziarie, il Mims ha emanato linee guida che di fatto fissano nuovi standard. Si ricade così nella manutenzione evolutiva, ammessa dall’Art in tariffa il 14 ottobre 2020. E costosa: per esempio, Aspi ha stanziato 1,2 miliardi sull’adeguamento strutturale e antincendio delle gallerie (termini scaduti ad aprile 2019) e 2,4 sull’ammodernamento delle barriere di sicurezza e antirumore (su 3.100 chilometri dopo che la precedente gestione lo aveva eluso).
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