Digitalizzare la sanità carceraria rappresenta uno dei modi per sopperire alle difficoltà economiche, di carenza di personale e burocratiche che da tempo la penalizzano. La telemedicina in carcere, secondo l’ex direttore dell’Istituto Superiore di Sanità Angelo Del Favero, si tradurrebbe in visite mediche e consulti specialistici a distanza, diagnosi e refertazioni più rapide e monitoraggi più costanti per patologie croniche e legate alla salute mentale: un sistema realizzabile nel giro di pochi anni. C’è distanza tra la realtà di un carcere e la sua percezione. Il ragionamento di molti probabilmente nasce da una miscela di rabbia, paura e vergogna che, mescolati insieme, come malta tengono in piedi uno stigma largamente diffuso tra di noi.
E cioè che il carcere è un mondo che non ci riguarda. Una sorta di isola che non c’è al contrario, dove si invecchia ma si resta macchiati, la periferia lontana della città in cui mai ti avventurerai. La distanza tra noi e il carcere sembra così grande e indefinibile quando, in realtà, siamo due sistemi confinanti. Chiunque, amici, genitori, conoscenti possono finirci. Oggi per oltre 53mila persone il carcere è il luogo reale dove mangiare, dormire, fare sport e affrontare gli stessi problemi di salute che colpiscono ciascuno di noi. Secondo le stime fornite da Antigone, un’associazione che si occupa della tutela dei diritti nel sistema penitenziario, il 70% dei detenuti soffre almeno di una patologia, almeno il 70% di essi fuma, quasi il 45% è obeso o sovrappeso, oltre il 40% è affetto da almeno una patologia psichiatrica, il 14,5% da malattie dell’apparato gastrointestinale e l’11,5% da malattie infettive e parassitarie.
La vita di un detenuto, come si può intuire, è fatta anche di episodi di autolesionismo, tossicodipendenza, aggressioni e tentativi di suicidio che a volte vanno purtroppo a buon fine. Il 70% dei detenuti soffre almeno di una patologia, il 70% fuma, quasi il 45% è obeso o sovrappeso, oltre il 40% ha una patologia psichiatrica e l’11,5% malattie infettive e parassitarie. Ci sono istituti penitenziari in cui gli psicologi hanno a disposizione “zero” ore settimanali.
C’è poi una carenza dal punto di vista logistico. I sistemi informatici sono obsoleti, la burocrazia è lentissima e ci sono falle importanti nel diritto alla riservatezza sanitaria. Uno strumento che potrebbe potenzialmente ridurre questa distanza è la telemedicina. Di questo si è parlato recentemente nella sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale di Roma dove è andato in scena l’evento “L’ecosistema integrato della Digital Health nei diversi istituti – La telemedicina e il teleconsulto come miglioramento dell’accesso alle cure in regime di restrizione”. L’obiettivo su cui hanno riflettuto medici, politici ed esperti (tra cui Giuseppe Assogna, presidente della Società Italiana per Studi di Economia ed Etica Sul farmaco e sugli interventi Terapeutici, Giuseppe Emanuele Cangemi, vicepresidente Consigilio regionale Lazio e la senatrice Maria Rizzotti) è quello provare a trasformare i vantaggi di una medicina svolta da remoto anziché fisicamente negli ambulatori o negli ospedali in contributi concreti per migliorare la qualità delle cure e la salute dei detenuti. Tra i vantaggi di un sistema digitalizzato sempre più rafforzato all’interno delle carceri c’è sicuramente quello economico. Per Angelo Del Favero, ex direttore Iss: “Un ambulatorio con tablet e dispositivi digitali in grado di bypassare le distanze e mettere in comunicazione pazienti detenuti a Milano con medici o specialisti a Bari, Roma, Genova, Torino non sarebbe una risposta solo sul fronte economico. In un sistema interconnesso come quello della sanità penitenziaria, risparmiare sui costi vorrebbe dire poter investire su altri ambiti che ancora oggi appaiono critici. Può contribuire in maniera determinante ad abbattere le barriere geografiche, favorire un’interazione medico-paziente più facile e costante ed eliminare tempi di attesa che per la popolazione carceraria superano di gran lunga i ‘nostri’. Più in generale servirebbe dunque a garantire una rete sanità decisamente più capillare ed efficace.” Implementare la telemedicina non significa però sostituire la presenza fisica del medico del carcere. Un paziente detenuto che lamenta un disturbo verrebbe sempre visitato dal medico fisicamente presente in struttura. Sarà lui a decidere se accedere o meno alla telemedicina che, nelle parole dell’ex direttore dell’Iss, dovrebbe configurarsi più come un’integrazione. Da remoto si possono seguire i parametri dei pazienti con malattie croniche, fare Ecg e inviare suggerimenti terapeutici. Lo stesso Del Favero sostiene che le domande potrebbero presto trovare risposta nel PNRR. “Penso che la scelta di favorire la metodica basata sulla centralità della casa e dell’individuo presso il proprio domicilio, notevolmente sviluppata durante il periodo Covid, avrà delle ricadute anche sul sistema carcerario”.
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