Con la pandemia il caporalato e gli irregolari sono in aumento ma ad incidere negativamente sul mercato del lavoro è soprattutto il doppio lavoro che sfugge a fisco, Inps e produce concorrenza sleale.
Lo sostiene la Cgia di Mestre. Da sempre a braccetto, caporalato e lavoro nero, soprattutto nel settore dell’agricoltura, hanno assunto dimensioni preoccupanti; secondo alcune stime, infatti, in Italia sarebbero circa 200 mila le persone vulnerabili, ovvero braccianti costretti a lavorare in condizioni di grave sfruttamento. Eppure, segnala l’Ufficio studi degli Artigiani, degli oltre 3,2 milioni di lavoratori irregolari presenti nel Paese, quelli sfruttati da caporali o da organizzazioni criminali sono una minoranza. Questo, ovviamente, non deve indurre a sottovalutare la gravità del fenomeno nel quale i lavoratori sono sottoposti a condizioni degradanti e disumane da parte di pseudo-imprenditori che agiscono, nei campi e talvolta anche nei cantieri, con modalità criminali. Anche perché, pur non essendoci dati in grado di dimostrarlo, a seguito della crisi pandemica la situazione è in deciso peggioramento. Pertanto, anche la stima dell’Istat, che segnala in 3,2 milioni i lavoratori irregolari presenti in Italia, è quasi certamente sottodimensionata.
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