Con l’esclusione dai fondi del Pnrr e la decisione del Governo nazionale, su indicazione della Commissione europea, di bloccare le vendite delle auto a benzina e diesel dal 2035, il Petrolchimico di Siracusa è destinato alla chiusura. Le ripercussioni, economiche e sociali, si preannunciano devastanti, perché l’area industriale impiega circa 3 mila persone ed allo stato rappresenta il cuore pulsante del territorio, incidendo per oltre il 55% del Pil locale. L’ancora di salvezza, se così può definirsi, è rappresentata dal riconoscimento di area di crisi complessa, che ha avuto il via libera dalla Regione siciliana ma serve il parere favorevole del Governo nazionale. Alla Presidenza del Consiglio dei ministri si appella l’assessore regionale alle Attività produttive, Mimmo Turano, ben consapevole che con la perdita del Petrolchimico la Sicilia rischia di lasciare per terra un polmone produttivo. Per l’esponente del Governo regionale, gli aiuti servirebbero per consentire alle aziende, tra cui Lukoil e Sonatrach, che possiedono le raffinerie di petrolio, di puntare maggiormente su energie alternative. “La richiesta di area di crisi complessa per il petrolchimico di Siracusa avanzata al Ministero per lo Sviluppo economico dalla Regione Siciliana – spiega l’esponente del governo Musumeci – risponde ad una ben precisa strategia che mira ad evitare la crisi irreversibile del settore e a favorire il percorso di riconversione nel solco dell’auspicata transizione energetica”. Ed è di ieri la notizia dell’abbandono di Lukoil al progetto per la realizzazione di un termovalorizzatore in Sicilia orientale che, nei piani del colosso russo, sarebbe dovuto sorgere nella zona industriale siracusana. Il deputato regionale della Lega, Giovanni Cafeo, ha addirittura paventato la possibilità di un addio di Lukoil entro i prossimi due anni.
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