“Non solo la tutela dei dati personali, oggi a pagare il prezzo della posizione dominante di Facebook è anche l’industria musicale” questo l’allarme di Sergio Cerruti, presidente di AFI, l’Associazione dei Fonografici Italiani che cura gli interessi economici di 760 produttori e rappresenta quasi il 10% del panorama musicale italiano indipendente. “Da ormai troppo tempo chiediamo alle politica tutela proprio nei confronti di quelle piattaforme, come Facebook, che godono di attenta considerazione da parte delle nostre istituzioni, sebbene le stesse siano consapevoli dei danni economici che provocano a parte dell’industria musicale italiana” dice Sergio Cerruti, presidente di AFI. “Affrontiamo quotidianamente un conclamato caso di pirateria legale: da anni Facebook, colosso dei social network, usufruisce con successo dei nostri contenuti musicali senza avere tutte le necessarie autorizzazioni da parte delle imprese dei produttori discografici indipendenti, i quali continuano a combattere con le lunghe e dispendiose procedure di reclamo online, che raramente hanno successo non producendo quindi alcun effetto economico” commenta Cerruti. Una pericolosa abitudine, spiegano da AFI, che crea gravi squilibri concorrenziali in un mercato già duramente colpito dalla pandemia. “Siamo di fronte alla creazione volontaria di un sistema non concorrenziale che rende il nostro mercato disfunzionale e che favorisce le big company del settore che sottoscrivono con Meta degli accordi a livello internazionale, evadendo ogni responsabilità di natura economica e normativa a livello locale, a discapito delle buone maniere italiane dimostrate ancora una volta da quest’ultimo incontro” continua Cerruti. Nell’anno in cui Facebook cambia nome, dunque, non si può dire che cambi atteggiamento. “Abbiamo più volte cercato di sottoporre all’attenzione di Facebook i danni economici che sta arrecando alle piccole e medie imprese dei discografici italiani, chiedendo e proponendo strumenti risolutori. Nulla è cambiato, se non la consapevolezza che la sede italiana della società è considerabile alla stregua di una azienda di pubbliche relazioni e che nulla può fare per proteggere l’economia del Paese che la ospita” aggiunge Cerruti. “Da sempre i colossi digitali sono in riserva di etica comportamentale, non solo nei confronti delle aziende ma anche e soprattutto delle persone (propri utenti). Quello che ci aspettiamo è che le nostre istituzioni, comprese le autorità preposte alla vigilanza del settore, sciolgano questa riserva indirizzando l’attenzione al ritrovamento dei valori persi perché non c’è futuro senza un miglioramento del presente”.
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