I tesori dello Stato “svenduti” sul digitale. Esplode con un servizio tv delle Iene, anticipato nei suoi contenuti da un lungo articolo di Repubblica oggi in edicola, la questione degli Nft nei musei italiani. La sigla sta per Not fungible token e nasce per indicare opere d’arte digitali che vengono rese uniche grazie alla registrazione in un albo pubblico, la blockchain. Un fenomeno che negli ultimi tempi ha aperto le porte a un mercato milionario e che ora vale pure per le copie digitali dei capolavori custoditi nei musei. Non opere d’arte originali quindi, bensì riproduzioni a grandezza naturale di opere icona che vivono su uno schermo, una sorta di merchandising di lusso, insomma, rivolta a ricchi collezionisti piuttosto che ad altri musei o organizzatori di mostre. Dal British Museum di Londra al Belvedere di Vienna, diversi musei del mondo stanno sperimentando da tempo questa estensione del bookshop. E lo stesso vale in Italia, dove però, almeno per i musei di Stato, il ministero della Cultura, già un anno fa, ha chiesto ai direttori di non rinnovare i contratti in essere, per aprire un tavolo di consultazione e mettere a punto delle linee guida che valgano come orientamento per tutti in un settore complesso ma anche in continua trasformazione. Ed è proprio su questi contratti, siglati già qualche anno fa da diversi importanti istituti italiani, in prima fila gli Uffizi, che oggi esplode la polemica. Perché gli inviati della trasmissione di Italia 1 fanno notare che tutti questi accordi sono stati siglati con una sola società, la Cinello di Milano, che commercializza quelli che chiama i Daw, copie digitali limitate dei capolavori conservati nei musei. Il contratto prevede che i proventi vengano divisi al 50 per cento tra la Cinello e il museo. Una percentuale che sarebbe penalizzante per lo Stato, sostengono ancora i cronisti de le Iene. L’interrogativo quindi è: perché non si è scelto di fare una gara per scegliere a quale azienda sul mercato affidare le proprie opere? Ai microfoni della trasmissione e poi attraverso un comunicato inviato oggi alle redazioni, il direttore degli Uffizi Eike Schmidt chiarisce come prima cosa che il contratto con Cinello è scaduto nel 2021 e non è stato rinnovato, che la gara non si è fatta perché le leggi in essere non lo prevedono e che soprattutto non esiste un’esclusiva di quell’azienda, “la proprietà delle opere rimane saldamente allo Stato”, assicura. Interpellata anche lei dalle Iene, la sottosegretaria alla Cultura Borgonzoni, si dice invece favorevole ad un sistema di gare. Se il direttore degli Uffizi Schmidt, direttamente chiamato in causa, si difende, gli altri direttori citati, chiamati dall’ANSA, non si sbilanciano tutti in attesa delle linee guida ma anche, spiegano, dei corsi di aggiornamento in materia che sono stati annunciati dalla direzione generale musei guidata da Massimo Osanna. Interviene invece la politica, da Montevecchi (M5s) che chiede di avviare indagine conoscitiva, proposta che subito viene accolta, ai deputati Lega che tornano sulla necessità di una regolamentazione. Sollecitato dai cronisti, il ministro Franceschini per ora non risponde. Ai microfoni delle Iene però aveva sottolineato anche lui la necessità di procedere ad una regolamentazione per un fenomeno che è cresciuto molto in fretta. Sul sito della società milanese intanto, le opere dei principali musei italiani risultano ancora in catalogo: dal celeberrimo Tondo Doni di Michelangelo alla Madonna del Cardellino di Raffaello ci sono tutte le 40 opere che gli Uffizi avevano selezionato nel 2016 per il Daw. Così come la Scapigliata di Leonardo, capolavoro della Pilotta di Parma, la canestra di frutta di Michelangelo esposta alla Braidense di Milano, il bacio di Hayez della Pinacoteca di Brera, l’Ecce Homo di Battistello Caracciolo di Capodimonte. “Non possono venderle, il contratto è finito”, assicura Schmidt.” Le continuiamo a vendere perché sono di nostra proprietà” ribatte ai microfoni delle Iene Franco Losi, uno dei due ideatori della società milanese. Sarà ma sembra un bluff, perché i contratti con i musei prevedono che per mettere in vendita una copia digitale serva comunque l’ok del museo e del ministero. Il catalogo comunque è ancora lì, con tutti i capolavori.
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