di Giovanni Gioioso
L’industria ferroviaria del XX secolo faceva largo utilizzo dell’amianto. Verso la metà degli anni ’50 il suo utilizzo si intensificò fino a raggiungere il culmine negli anni ’80. Bisognerà attendere la legge 257/92 e successive modifiche per bandire tutti i prodotti contenenti amianto: estrazione, produzione, importazione e commercializzazione. Il legislatore italiano è stato il primo a livello europeo, sulla base delle evidenze scientifiche, ad accertare il nesso causale tra l’esposizione e il mesotelioma pleurico, l’asbestosi, l’adenocarcinoma polmonare e altre patologie. La stessa legge prevedeva misure a sostegno delle industrie che lavoravano nel settore e benefici pensionistici per i lavoratori esposti «con una maggiorazione dell’anzianità assicurativa e contributiva pari al periodo necessario per la maturazione del requisito dei trentacinque anni” (Art 13, comma 2), con un coefficiente moltiplicatore di 1.5 per i lavoratori delle miniere e delle cave (Art. 13, comma 7)». Grazie alla sua capacità di resistere al calore e all’attrito e prevenire gli incendi fu impiegato sia nella costruzione delle carrozze, sia per la componentistica meccanica delle locomotive, ad esempio per le pastiglie dei freni. Faceva parte – a pieno titolo – delle stazioni ferroviarie, utilizzato per realizzare tramezzi e lastre di copertura e come isolante attorno a tubi e caldaie. La categoria maggiormente esposta alle conseguenze del “nemico invisibile” e all’esposizione prolungata era rappresentata da maestranze, operai e tecnici della Rfi: le mansioni includevano la gestione, la costruzione, l’ispezione, la manutenzione e la riparazione di migliaia di km di binari che collegavano il Paese. In questi ultimi casi, la polvere di amianto sollecitata dalle vibrazioni si liberava nell’aria divenendo altamente nociva. Nel caso di carrozze obsolete e in via di dismissione l’amianto diventava friabile, provocando il rilascio delle fibre. Non a caso tra i lavoratori delle ferrovie, l’incidenza di mortalità per mesotelioma si è attestata intorno al 17,6% (stima per difetto) nonostante i tempi di latenza della malattia siano molto lunghi (20-50). Di grande importanza scientifica e non solo è il Registro nazionale dei mesoteliomi (ReNaM) realizzato dal Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro e Ambientale che ogni anno traccia una fotografia della situazione con le schede relative al lavoro dei Cor (Centri operativi regionali) ed una serie di articoli relativi all’attività del ReNaM pubblicati su riviste peer reviewed. Nel 2021 il prof. Stefano Signorini (Direttore del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale) nel corso della sua premessa al VII report ha riconosciuto le profonde difficoltà per tutte le istituzioni sanitarie che hanno dovuto fronteggiare con ogni energia e risorsa la pandemia da Covid-19 sottolineando un metodo di lavoro e di analisi che dovrebbe essere proprio della gestione di ogni criticità e di ogni emergenza che metta in pericolo la salute pubblica: «È apparso evidente come il monitoraggio degli eventi patologici e la sorveglianza epidemiologica siano strumenti essenziali per l’efficienza e la tempestività degli interventi di sanità pubblica. Le politiche di prevenzione, le misure di contenimento dei rischi, la capacità di produrre informazione corretta sono possibili – ha specificato Signorini – solo a partire dalla disponibilità di dati omogenei, completi e affidabili sulla diffusione degli eventi patologici sul territorio nazionale e sui loro determinanti causali». In questo contesto per Signorini: «con riferimento alla sorveglianza delle malattie di origine occupazionale, il Registro nazionale dei mesoteliomi rappresenta certamente un’esperienza di grande rilievo nel panorama nazionale e internazionale per la capillarità della rete di rilevazione, la quantità e la qualità dei risultati scientifici e di ricerca prodotti a partire dalla sua istituzione». Esattamente un anno fa (22 febbraio 2022) la Rete ferroviaria italiana veniva condannata dal Tribunale di Roma a risarcire di 200.000 euro la vedova e i due figli di un operaio di Foggia morto all’età di 69 anni di mesotelioma da esposizione ad amianto. Il ricorso era stato presentato dagli avvocati Daniela Cataldo ed Ezio Bonanni, quest’ultimo nome storico per chi si è imbattuto nel dramma dell’amianto e presidente dell’ osservatorio nazionale Amianto. Stando alla ricostruzione dell’accaduto fornita dall’associazione, dal 1969 la vittima ha lavorato come aggiustatore meccanico nelle officine grandi riparazioni di Foggia di Rfi occupandosi della manutenzione dei rotabili ferroviari, motori, tubazioni e cavi elettrici. Dopo 14 mesi, è specificato, gli è stato diagnosticato un mesotelioma da esposizione ad amianto. E’ morto a 69 anni lasciando la moglie di 63 anni, e i due figli di 37 e 33 anni. La società, a quanto viene riferito dall’osservatorio, aveva contestato il ricorso affermando che «solo a partire dalla metà degli anni ’70 vi è stata la presa di coscienza circa la pericolosità della esposizione a fibre in amianto». Il giudice Antonella Casoli ha richiamato precedenti sentenze e ha ribadito la responsabilità per aver esposto l’operaio «a elevatissime concentrazioni di polveri e fibre di amianto, contenute nei materiali manipolati e comunque aerodisperse nell’ambiente di lavoro». Secondo il giudice Rfi avrebbe «omesso di mettere a disposizione dei lavoratori dispositivi di protezione individuale, quali mascherine e tute da lavoro e di informare il lavoratore sui rischi connessi all’amianto». Il 28 aprile di ogni anno ricorre la Giornata delle vittime dell’amianto ma non deve stupire che il ministro della Transizione, Cingolani, abbia scoperto dal fattoquotidiano.it (come riportato dalla testata stessa) dell’esistenza di un testo, cui avevano contribuito per otto mesi i massimi esperti in materia, finito – forse per errore – in un cassetto polveroso. Era stato messo a punto da una commissione ad hoc nominata per decreto a marzo del 2019 dall’ex ministro dell’Ambiente, Costa, presieduta da Raffaele Guariniello. L’ex magistrato-simbolo della lotta all’eternit. «Il ministro viene informato dagli uffici, poi chiama. “Sarò franco, non ne avevo mai sentito parlare”, ammette, senza nascondere disappunto e imbarazzo. “Appena ho letto l’articolo ho fatto ricostruire l’iter di quel testo. In effetti la bozza era stata letta e assimilata al collegato ambientale, per andare al Cdm, poi è caduto il governo Conte II ed è rimasta lì. Riprenderò in mano la bozza e mi impegno a portarla in Consiglio dei Ministri. Sui risarcimenti, ne parlerò con Orlando al Cite. Ma non si sorprenda, qui è tutto un mettere le pezze”, scrive ilfattoquotidiano.it riportando il contenuto della telefonata con il ministro Cingolani. Meglio tardi che mai.