di Daniela Mariano
La peste suina africana (PSA) è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali selvatici e a oggi non esiste vaccino né cura. L’infezione, che causa un alto tasso di mortalità negli animali colpiti, non è tuttavia trasmissibile all’uomo, ma le ricadute in ambito socio-economico nelle zone colpite o semplicemente ritenute a rischio sono purtroppo evidenti. Ci sono da considerare i costi sostenuti per il controllo e il monitoraggio degli allevamenti, misure già in essere in tutta Europa che, essendo la PSA così difficile da eradicare, sono azioni preventive che ne richiedono il mantenimento per diversi anni. Vi sono poi per gli allevatori le restrizioni agli spostamenti dei maiali e dei prodotti derivati e, nel caso di infezione, si configura il peggiore degli scenari: la perdita di un ingente numero di capi suini, con in aggiunta le spese da sostenere per lo smaltimento delle carcasse animali. Situazioni di questo tipo, se diffuse in Italia, rischierebbero di mettere in ginocchio l’intero mercato suinicolo e di conseguenza l’intero comparto dell’industria salumiera, tradizionalmente ed economicamente molto importante per il nostro Paese. La diffusione della peste suina e la proliferazione del cinghiale selvatico nei nostri territori sono strettamente correlati: attraverso i suoi spostamenti e per la promiscuità con gli allevamenti suini allo stato brado e semibrado, il cinghiale risulta essere il principale vettore di trasmissione della malattia. Oltre al rischio di diffusione del contagio, sono da considerare anche i danni all’agricoltura e al paesaggio, e gli incidenti mortali causati dagli ungulati. È da tempo che autorità sanitarie, istituzioni e associazioni di categoria si stanno dunque confrontando sugli interventi per attuare un piano di spopolamento del cinghiale selvatico e disattivare una potenziale emergenza epidemiologica, mettendo in atto una gestione che necessita di un’analisi preventiva e deve mettere in conto le spese per l’abbattimento e lo smaltimento delle carcasse. La Cia aveva lanciato l’allerta e invocato già anni addietro la riforma della Legge 157/92 (norma che regola la protezione della fauna selvatica e dell’attività venatoria). A tal proposito il presidente Dino Scanavino ha dichiarato che «è necessario agire in modo razionale nella gestione della biodiversità, con un riequilibrio del rapporto fra uomini e ungulati, bilanciando gli interessi fra le diverse categorie di cittadini, siano essi cacciatori, allevatori o ambientalisti, guidati esclusivamente dai criteri del rigoroso controllo scientifico». Nel contempo, in un comunicato la Giunta regionale lucana e il presidente Bardi hanno annunciato a breve un’ordinanza ad hoc per contrastare il rischio di contagio in Basilicata. Infatti, in seguito all’esplosione di alcuni focolai di peste suina in Campania, nei territori di Serre e di Montesano sulla Marcellana, la Commissione europea ha ricompreso nelle zone infette anche alcuni comuni lucani limitrofi: Grumento Nova, Lagonegro, Moliterno, Paterno e Tramutola. Nella medesima nota della Giunta si legge inoltre che l’ordinanza servirà «per disciplinare i comportamenti da tenere nei cinque Comuni interessati e nei restanti territori della regione. Nella zona infetta, sarà inibita la movimentazione dei suini e saranno rafforzate le attività di ricerca e controllo delle carcasse dei cinghiali. Saranno inoltre intensificate da parte dei veterinari le attività di controllo degli allevamenti di suini. Nei restanti territori sarà possibile la movimentazione libera dei suini con il visto dei veterinari». È bene precisare che, da gennaio 2022 ad oggi, tutti i controlli in Basilicata su esemplari di maiali morti in cattività e le verifiche effettuate negli allevamenti lucani hanno dato esito negativo al contagio.