di Giovanni Gioioso
Il 2 giugno 1946 fu la prima, fondante occasione di voto libero, dopo la caduta del regime fascista e la seconda guerra mondiale, e si tenne con suffragio universale: le donne, per la prima volta a livello nazionale, poterono far sentire la propria voce ed esprimere la propria preferenza nelle cabine elettorali. In tale occasione si votò anche per eleggere i componenti dell’Assemblea Costituente, che avrebbe avuto poi l’incarico di elaborare e dare vita alla nostra Costituzione. Per il referendum istituzionale fu Palmiro Togliatti a suggerire di predisporre la scheda elettorale inserendo l’immagine del re da un lato, per chi avrebbe deciso di votare per la Monarchia, e quella di Garibaldi dall’altro per chi avrebbe scelto la Repubblica. Questo avrebbe consentito una più agevole e comprensibile scelta anche a quella parte di popolazione ancora in difficoltà con la scrittura. I conservatori contestarono alle sinistre di appropriarsi dell’immagine dell’eroe dei due mondi, uno dei personaggi più rappresentativi del Risorgimento; pertanto, i monarchici scelsero lo stemma sabaudo, mentre i sostenitori della Repubblica decisero di adottare l’Italia turrita, immagine allegorica e personificazione nazionale dell’Italia. Anche tale soluzione sollevò non poche polemiche da parte degli avversari politici, portandoli a sostenere che, essendo quella un’effige iconografica universale e comune a tutto il Paese, non potesse rappresentare solo una parte di esso. La portata storica dell’evento fu indubbia. Il 2 giugno 1946 si scrisse una pagina cruciale del nostro paese: il popolo italiano scelse, in più di 12 milioni, la Repubblica, a fronte dei circa 10 milioni e 700mila preferenze per la Monarchia, che venne dunque sconfitta. La maggior parte dei voti a favore della svolta repubblicana venne dal nord, mentre scendendo idealmente lungo la penisola fu chiaro che si era forse guardato con timore a quel cambiamento, ritenendolo un presunto salto nel buio che portò gran parte del sud a schierarsi per la ben più nota Monarchia. Basti pensare che tra le regioni meridionali la più povera, la Basilicata, si dimostrò pure la più repubblicana, con soltanto però il 40,6% di preferenze. Non mancarono poi le contestazioni, anche sanguinose, a seguito degli scrutini, come avvenne ad esempio a Napoli. L’Italia si dimostrò pronta a recepire la Repubblica come forma istituzionale, ma non ancora pronta a ricucire una frattura tra nord e sud che ha sempre visto il paese diviso in due, una dicotomia che ad oggi è ancora al centro del dibattito. Forse anche per questo motivo molti ritengono che il 2 giugno sia una ricorrenza meno sentita in Italia rispetto al 25 aprile, giorno della Liberazione e della Resistenza partigiana, o rispetto alle altre feste nazionali del 14 luglio in Francia o del 4 luglio negli Stati Uniti; paesi che tra mille contraddizioni sono spesso capaci di esprimere una solida memoria unitaria e un caratterizzante orgoglio nazionale. E proprio in nome di una rinnovata unità e per tenere viva la memoria collettiva, ogni anno il cerimoniale che si tiene a Roma in occasione del 2 giugno prevede la deposizione di una corona d’alloro, da parte del Presidente della Repubblica, in omaggio al Milite Ignoto di fronte all’Altare della Patria, e una parata militare lungo via dei Fori Imperiali. Si tengono poi numerose celebrazioni in tutti i comuni, promosse dalle istituzioni, e anche da moltissime associazioni in tutta Italia. Il presidente Mattarella, nel suo intervento per i festeggiamenti del 2 giugno dello scorso anno, non ha mancato di sottolineare l’importanza della memoria, parlando come sempre a tutti gli italiani e in particolare ai ragazzi: «L’incontro fra generazioni, la trasmissione delle esperienze, l’investimento di fiducia sui più giovani rappresentano momenti preziosi di una società che vuole essere dinamica e giusta, capace di tenere insieme i valori fondativi e la necessaria spinta al futuro». Rivolgendosi anche agli imprenditori impegnati a fronteggiare la crisi post pandemica e ai nuovi Cavalieri del Lavoro ha parlato di giustizia sociale, di economia, di quell’Europa che stava investendo sull’Italia, della guerra che la Russia aveva intrapreso invadendo l’Ucraina: «La nostra fiducia, la nostra speranza, sono poggiate sulle doti di ingegno e intelligenza e sulle grandi risorse umane e morali che ha il nostro popolo, aperto all’incontro con gli altri, desideroso di armonia e di solidarietà. Disponiamo di basi solide per pensare il futuro e per costruirlo insieme». Sono temi che anche quest’anno, celebrando il 2 giugno in cui la maggioranza degli italiani scelse la Repubblica e aprì le porte all’Europa, si riveleranno terribilmente attuali. E ci ritroveremo ancora saldi nelle parole di Mattarella, che ci ricorderanno quanto siamo stati e siamo fragili; e quanto siamo stati, e dovremmo sempre essere, lungimiranti e coraggiosi.