E’ una verità che pochi dicono con forza: gli ITS Academy funzionano. Funzionano così bene che verrebbe da chiedersi perché abbiamo perso decenni a mandare i nostri giovani a studiare filosofia medievale, economia o latino antico mentre le aziende urlavano disperatamente cercando tecnici qualificati. I numeri sono lì, impossibili da ignorare anche per i professoroni che guardano gli istituti tecnici superiori con la stessa sufficienza con cui un sommelier guarda una bottiglia di vino da supermercato. L’80% dei diplomati ITS trova lavoro entro un anno. Non stage non retribuiti, non finti tirocini, ma un contratto vero. E il 90% di questi in un settore coerente con il percorso di studi. Avete capito bene: coerente! Non come quei laureati in archeologia che finiscono a vendere polizze assicurative porta a porta.
Il Governo – e miracolosamente non solo questo, ma anche quelli precedenti, perché evidentemente anche i ciechi prima o poi vedono la luce – continua a riversare fondi in questo sistema. Con il PNRR sono arrivati 1,5 miliardi di euro. Una cifra che farebbe rabbrividire qualsiasi rettore universitario abituato a elemosinare quattro spiccioli per cambiare le lampadine nei corridoi.
La legge 99 del 2022 ha riorganizzato l’intero sistema, trasformando gli ITS in ITS Academy. Un cambio di nome che per una volta non è solo fumo negli occhi ma sostanza. Più autonomia, più connessione con le imprese, più laboratori avanzati. Mentre le università continuano a sfornare laureati che sanno tutto di Kant ma non sanno accendere un computer senza chiamare il nipote dodicenne. Le aziende del territorio – quelle che producono, esportano e pagano le tasse, non i salotti buoni degli intellettuali da aperitivo – partecipano attivamente alla formazione. Mandano i loro tecnici a insegnare, offrono stage, aprono i loro stabilimenti. Una collaborazione così stretta che sembra quasi indecente in un paese dove scuola e lavoro si sono sempre guardati con reciproco sospetto, come due vecchi che si contendono lo stesso posto sulla panchina del parco.
Energia, meccatronica, biotecnologie, ICT, turismo, moda, enogastronomia: settori dove l’Italia potrebbe dominare il mondo, se solo smettessimo di considerarli mestieri di serie B. Perché questa è la verità: in Italia essere un tecnico specializzato è ancora visto come un ripiego per chi non è abbastanza intelligente per studiare lettere antiche. Una stupidità colossale che paghiamo con la fuga dei cervelli e con aziende che non trovano personale qualificato.
Il Sud, poi, potrebbe trasformare gli ITS Academy nella sua arma segreta contro la disoccupazione giovanile. Invece di vedere i ragazzi partire con la valigia di cartone verso Milano o Berlino, potremmo trattenerli formandoli esattamente per ciò che serve alle imprese locali. Ma no, continuiamo a considerare normale che un ventenne di Napoli o Palermo debba emigrare per avere un futuro.
Il Governo attuale ha aumentato gli stanziamenti, introducendo un sistema di premialità che finalmente premia il merito e non l’appartenenza politica. Una rivoluzione in un paese dove “merito” è spesso una parolaccia e dove “chi conosci” conta più di “cosa sai fare”.
La sfida vera? Far capire alle famiglie italiane che mandare il figlio all’ITS non è una sconfitta ma una scelta intelligente. Che un super-tecnico può guadagnare più di un avvocato mediocre. Che l’Italia ha bisogno di mani sapienti tanto quanto di teste pensanti.
Gli ITS Academy sono la scommessa più intelligente fatta negli ultimi anni sulla formazione italiana. E per una volta, sembra che lo Stato stia puntando sul cavallo giusto.
di Sandro Feola