In meno di due mesi e’ passata da modalita’ alternativa a predominante: l’emergenza coronavirus ha fatto esplodere il ricorso allo smart working, che oggi conta oltre 4,3 milioni di lavoratori, di cui circa 2,5 milioni nella pubblica amministrazione ed oltre 1,8 milioni nel privato. Una modalita’ diventata molto spesso necessaria al tempo del Covid, ma che gia’ si guarda a far diventare piu’ strutturale. Intenzione espressa chiaramente dalla ministra della Pa, Fabiana Dadone: passare, una volta finita l’emergenza, “alla fase dello smart working a regime al 30%”. E cosi’ i sindacati chiedono di regolare il lavoro da casa, con un protocollo ad hoc ma anche nell’ambito del contratto nazionale. Disponibile al confronto si e’ detta la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo. Dal Primo maggio segnato dalla pandemia, che si e’ celebrato senza manifestazioni ne’ cortei, ma con format tv e social, Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato un messaggio piu’ che mai compatto, con lo slogan “Il lavoro in sicurezza: per costruire il futuro”. Ma anche un appello: andare avanti uniti e realizzare “un Patto sociale” per rilanciare il Paese, l’economia e la societa’, partendo da “un nuovo modello di sviluppo”, come hanno detto i segretari generali Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, nel corso degli interventi per la giornata dei lavoratori. E, proprio guardando a loro, si fa piu’ pressante la richiesta di dare regole anche allo smart working: dallo stabilire le pause fino ai riconoscimenti del lavoro ad esempio negli orari piu’ “disagiati”: “Bisogna allargare le competenze dei contratti nazionali di lavoro”, ha detto Landini, in modo che “regolino tutti i lavoratori e tutti abbiano gli stessi diritti”. Tema che Catalfo si e’ detta disponibile ad affrontare, parlando in occasione del Primo maggio: “Sono favorevole a regolamentare lo smart working, sta diventano una modalita’ di lavoro quasi stabile e sono favorevole ad un incontro con i sindacati”. I numeri lo confermano: nel settore privato sono piu’ di 1 milione e 800 mila i lavoratori in smart working, di cui piu’ di 1,6 milioni quelli attivati a seguito delle norme anti-Covid, secondo i dati aggiornati dello stesso ministero. E, alla vigilia della fase due, che “potrebbe essere piu’ rischiosa”, i sindacati chiedono anche “di fare un nuovo protocollo nel settore del pubblico impiego nel quali si confermi che il lavoro agile resti come lavoro ordinario”, spiega il segretario confederale della Uil, Antonio Foccillo. Nella Pa, ad oggi, su un totale di circa 3,2 milioni di lavoratori, l’80% circa e’ in smart working: dunque, piu’ di 2,5 milioni di statali e non solo. “Voglio che la Pa faccia bagaglio dell’esperienza acquisita in queste settimane. Non e’ stato facile il passaggio”. Ma dopo l’emergenza “dobbiamo passare alla fase dello smart working a regime al 30%”, ha detto Dadone, auspicando che la Pubblica amministrazione “colga l’occasione”, senza “nicchiare in una ‘comfort zone’: non ritorni alle vecchie abitudini, ma prenda questo slancio”.